domenica 19 agosto 2012
lunedì 2 luglio 2012
Guerra ai siciliani con i droni di Sigonella
Ancora un bellissimo articolo di Antonio Mazzeo, un siciliano che non smette un attimo di fare il suo dovere.
Guerra ai siciliani con i droni di Sigonella
di Antonio Mazzeo
Un
carosello in cielo, giù c’è Catania, il blu dello Ionio, l’Etna nera
con il cocuzzolo perennemente innevato. Due, cinque, otto, dieci
interminabili minuti, l’aereo che oscilla, vibra, scende, risale. E il
cuore che accelera. Paura di volare? Mai. Ma perché ci sta tanto ad
atterrare? E che cavolo! ogni volta la stessa storia. Arrivi in orario
ma poi ti fanno girare per mezz’ora su Fontanarossa. E sudi freddo,
senti una strana pressione sullo stomaco. Quasi sempre non ti dicono
nulla. Non ti spiegano perché. Domenica all’una invece, sul
Pisa-Catania, il comandante annuncia che straremo in aria un po’ sino a
quando la torre di controllo non ci autorizzerà all’atterraggio. C’è un
intenso traffico aereo militare sullo scalo di Sigonella.
Cazzo, ‘sti americani giocano alla guerra perfino all’ora di pranzo e nel giorno del Signore, sdrammatizza il vicino di poltrona già superabbronzato. Beh,
sempre meglio di quanto è accaduto a mio zio la scorsa estate. Veniva
da Venezia e gli hanno dirottato all’ultimo l’aereo a Punta Raisi.
Allora c’erano i war games degli yankees e della NATO, gli ultimi fuochi
sulla Libia da liberare. Le spregiudicate manovre dei famigerati aerei
senza pilota, gli UAV-spia Global Hawk e i Predator stracarichi di missili e bombe a guida laser.
Da
due anni il terzo aeroporto d’Italia come volume di traffico, oltre sei
milioni e mezzo di passeggeri l’anno, è asservito alla dronomania della
Marina e dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti d’America.
Atterraggi e decolli ritardati, le attività sospese in pista e nelle
piattaforme, timetable che
per effetto domino impazziscono in tutto il Continente, gli imprevisti e
faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su Catania vuol dire
disagi che si sommano ai disagi, nuovi pericoli che si aggiungono a
quelli vecchi. In futuro sarà peggio. Entro il 2015, la grande stazione
aeronavale di Sigonella sarà consacrata capitale mondiale degli aerei senza pilota e ospiterà sino a venti Global Hawk e sciami di droni d’attacco e di morte. E Fontanarossa sarà soffocata, imprigionata, asservita alla guerra.
“Sì, il traffico civile subisce certe riduzioni e interferenze per l’attività militare del vicino scalo di Sigonella”, ammette Gaetano
Mancini, presidente della Sac, la società che gestisce l’aeroporto
etneo. “Tutto però è sotto controllo e mai ci sono stati problemi per la
sicurezza dei passeggeri. Negli ultimi mesi la situazione si è poi
fatta sicuramente meno pesante”. L’ordine di scuderia è tranquillizzare
ed evitare allarmismi. Eppure dall’8 marzo di quest’anno a Fontanarossa
sono state sospese tutte le procedure strumentali standard nelle fasi di
accesso, partenza e arrivo degli aeromobili, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, gli aerei senza pilota in dotazione
alle forze armate statunitensi e alleate, come specificato da una nota
ai piloti di aeromobili (NOTAM) emessa dalle autorità preposte al
controllo del traffico. Le limitazioni dovevano durare sino allo scorso 5
giugno, ma un giorno prima della scadenza dei termini, tre NOTAM
distinti dai codici B4048, B4049 e B4050 hanno prorogato la sospensione
delle procedure standard sino al prossimo 1 settembre. Anche stavolta il
transito dei voli civili, in piena stagione estiva, sarà subordinato
alle evoluzioni dei droni. Semaforo giallo anche per i cacciabombardieri
e gli aerei radar e da trasporto uomini e mezzi delle forze armate. Un
altro avviso, codice M3066/12, ha ordinato infatti la sospensione di
tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, anche stavolta per le attività degli Unmanned Aircraft.
La
Sicilia trampolino bellico si trasforma in laboratorio sperimentale del
piano di iper-liberalizzare lo spazio aereo alle scorribande degli
aerei senza pilota. La sicurezza delle popolazioni e dei passeggeri
sacrificata all’altare degli interessi economici del complesso militare
industriale USA. In Europa e aldilà dell’Atlantico, governi
e organismi internazionali sembrano impotenti di fronte
all’intollerabile pressing dei produttori di droni. Il business è
enorme: secondo
gli
analisti economici, nei prossimi dieci anni la spesa annua per i
sistemi senza pilota crescerà da 6,6 ad 11,4 miliardi di dollari e ci
sarà pure un’ampia espansione anche in ambito civile. Solo in riferimento alla tipologia degli UAV ospitati pure a Sigonella (gli RQ-4 Global Hawk, gli MQ-9 Reaper e gli MQ-1 Predator), il Pentagono vuole portarli dagli attuali 340 a 650 nel 2021. Ognuno di essi ha costi insostenibili. Ogni falco globale
di US Air Force, quello più vecchio, costa 50 milioni di dollari (in
Sicilia ce ne saranno presto cinque). Gli altri cinque UAV previsti per
Sigonella con il programma Allied Ground Surveillance (AGS)
di sorveglianza terrestre della NATO, costeranno complessivamente 1,7 miliardi di dollari. Spesa record di 233 milioni a drone per la versione Global Hawk acquistata dalla Marina USA nell’ambito del programma Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) che vedrà ancora la Sicilia piattaforma avanzata per i raid in Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico.
Due
anni fa, senza che sia stato ancora disciplinato l’impiego degli
aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo europeo,
l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac)
hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego dei Global Hawk di Sigonella nell’ambito di spazi aerei “determinati” (terminologia del tutto nuova rispetto a quella in uso nei NOTAM dove gli spazi sono proibiti, pericolosi o limitati).
In linea teorica si annuncia l’adozione di procedure di coordinamento
tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto
sulle attività aeree civili” e
“nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si
ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di crisi o di
conflitto armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazioni
di alcun genere. Nel Mediterraneo cronicamente in fiamme è come dare
illimitata libertà di azione ai falchi globali e ai predatori del cielo e del mare.
“I
velivoli telecomandati rappresentano un rischio insostenibile per il
traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli
scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio”, denunciano
gli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Negli Stati Uniti d’America il tasso degli incidenti agli aerei senza pilota è nettamente superiore a quello dell’aviazione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato dalla Federal Aviation Administration,
l’amministrazione responsabile per la gestione delle attività nello
spazio aereo nazionale”. Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla
Commissione per la sicurezza pubblica interna del Congresso, la
vicepresidente della FAA ha espresso forti perplessità su una “rapida e
piena integrazione” dei sistemi senza pilota nel traffico aereo
generale, così come auspicato dal Pentagono e dal presidente Obama.
“Molti dei dati a nostra disposizione arrivano solo dalla Customs and Border Protecion (CPB) che pattuglia i nostri confini”, spiega la Federal Aviation Administration.
“Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli UAS sono molto grandi.
Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad esempio, la CPB
ha riferito un tasso incidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore di
volo, cioè oltre sette volte più alto di quello dell’aviazione generale e
353 volte più elevato di quello dell’aviazione commerciale. Non si deve
poi dimenticare che il numero di ore di volo denunciato, 5.688, è molto
basso rispetto a quello che viene solitamente considerato in aviazione
per fissare i dati sulla sicurezza e gli incidenti…”.
Un recentissimo report di Bloomberg,
la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico e
finanziario, ha messo il dito nella piaga droni. Da quando sono
operativi con US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper
hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato una spesa
superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzione del velivolo in
missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso
d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno
cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Global Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16.
“Effettivamente
il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è
incoraggiante”, ammette il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita,
autore di un approfondito studio sui droni pubblicato dal Centro
Militare di Studi Strategici (Cemis). “La mancanza di una capacità
matura di sense & avoid (senti ed evita)
verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla
vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e
segmento di volo: in più di un occasione un Predator
è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, spiega il
maggiore. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se
non in
spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta,
non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non hanno
ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un
safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.
Analoghe
considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force
nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi
sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision).
“I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali
estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non
cinetiche”, scrivono i militari statunitensi. Per questo Eurocontrol,
l’organizzazione per la sicurezza del traffico aereo a cui aderiscono 38
stati europei, ha stabilito nel marzo 2010 alcune linee guida per la
gestione del traffico aereo dei falchi globali destinati allo
scacchiere continentale. In particolare, si raccomanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio aereo. “Dato che i Global Hawk non possiedono certe capacità, come il sense and avoid,
è necessario che i decolli e gli atterraggi avvengano in spazi aerei
segregati dai livelli normalmente utilizzati dai convenzionali aerei con
pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere effettuate ad
altitudini non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa,
scalo a meno di una decina di km in linea d’aria da Sigonella, le
raccomandazioni di Eurocontrol sono solo carta straccia.
Sulle scellerate scelte USA e NATO d’installare i Global Hawk
in Sicilia è intervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione
italiana, il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni
dell’Aeronautica ed Alitalia, poi consulente del Registro aeronautico e
perito per diverse Procure nei procedimenti relativi ad incidenti aerei.
“Questi aeromobili militari saranno in grado di partire e tornare alla
base siciliana dopo aver compiuto missioni segrete e pericolose, delle
quali nessuno deve saper nulla, onde poter effettuare con successo i
loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive Dentesano. “È pur
vero che nei loro piani d’impiego è previsto che il Comando che li
utilizzerà abbia tutte le informazioni necessarie in merito al
traffico che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece,
le autorità civili non sapranno nulla di quanto programmato e qualche
Controllore avvisterà sugli schermi radar del traffico che sarà etichettato come sconosciuto, del quale quindi ignoreranno sia le intenzioni che le manovre e le traiettorie”.
“Questo
tipo di ricognitori, concepiti appunto per missioni troppo rischiose
per essere affidate a mezzi con a bordo degli esseri umani, nonostante
tutte le misure di security di cui sono dotati i loro ricevitori di
bordo, possono essere interferiti da segnali elettronici capaci di
penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo da causarne la
distruzione”, aggiunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator,
non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo
civile. Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in
senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per
evitare una collisione prontamente richiederebbe. E la sola variazione
della
direzione di moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non
bastare ad evitare un disastro che coinvolga un traffico civile”.
L’allarme
è stato lanciato da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non
vedono, non sentono, non parlano. Il DC 9 abbattuto da un missile nel
cielo di Ustica, il 27 giugno di 32 anni fa, è un ricordo sbiadito. Con i
droni liberi di planare sulle teste dei siciliani è scattato il count down per l’ennesima strage di stato.
martedì 26 giugno 2012
Aerei senza pilota all’assalto dei cieli della Sicilia occidentale
pubblico anche qui un articolo di Antonio..
Aerei senza pilota all’assalto dei cieli della Sicilia occidentale
di Antonio Mazzeo
Disagi
e limitazioni al traffico aereo per tutta l’estate nell’aeroporto di
Trapani Birgi, causa le supersegrete operazioni dei droni schierati a
Sigonella dalle forze armate USA e NATO. Secondo quanto rilevato
dall’associazione antimafie “Rita Atria”, la mattina dell’1 giugno sono
state emesse tre notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) in
transito dallo scalo trapanese che impongono la sospensione delle
procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo
degli aerei, dall’1 giugno al 29 agosto 2012. I NOTAM, distinti
rispettivamente con i codici B3990, B3991 e B3992, specificano che le
sospensioni sono dovute all’“attività degli Unmanned Aircraft”, gli aerei senza pilota utilizzati per le operazioni di spionaggio, guida di attacchi aerei e
lancio di bombe teleguidate e missili.
Proprio a causa dei pericolosissimi decolli ed atterraggi di Global Hawk, Predator e Reaper
nella stazione aeronavale di Sigonella, dall’8 marzo scorso e fino
all’1 settembre anche i piloti in transito dallo scalo di
Catania-Fontanarossa, il terzo come volume passeggeri di tutta Italia,
devono rispettare procedure molto più complesse per evitare il rischio
collisione con i velivoli teleguidati. Forse per i sempre più impetuosi
venti di guerra in Siria e Iran, forse per l’intensificazione dei
voli-spia nel Tirreno, in nord Africa e in Somalia, il pericolo droni si
estende ai cieli della Sicilia occidentale. E lo scalo di Trapani Birgi
ne fa le spese.
“C’è bisogno di trovare ed inventare strade per portare efficacemente davanti all’Alta Corte Costituzionale, ultimo presidio a difesa della Democrazia, le leggi estranee alla
natura e cultura della Costituzione, come quella n.178 del 14 Luglio 2004 che regola l’uso dei velivoli senza pilota militari nello spazio aereo nazionale”, commenta l’associazione “Rita Atria”. “Quella legge anzitutto mente, perché parla di droni che sarebbero di pertinenza delle nostre forze armate mentre tali tipi di armamenti sono gestiti direttamente ed esclusivamente
dagli statunitensi. Con questa menzogna i legislatori hanno ritenuto di potersi sottrarre all’obbligo di concordare parità di condizioni per poter consentire a limitazioni alla propria sovranità, come recita l’art. 11 della Costituzione. E l’automatica limitazione dell’attività aerea civile, in aree
impegnate da voli senza pilota, costituisce una insopportabile
limitazione di sovranità ove non sia finalizzata con chiarezza alla
costruzione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
Quello
di Trapani Birgi è un aeroporto classificato come “militare aperto al
traffico aereo civile”, così tutti i servizi di assistenza al volo agli
aerei civili che atterrano e decollano dall’aerostazione “Vincenzo
Florio” sono forniti dal personale dell’Aeronautica. La preponderante
vocazione militare dello scalo risale comunque al 1° ottobre 1984,
quando per rafforzare il fianco sud dell’Alleanza Atlantica, vi fu costituito il 37° Stormo dell’Aeronautica insieme al 18° Gruppo volo dotato di cacciabombardieri F-104. Successivamente fu insediato anche l’82° Centro CSAR (Combat Search
and Rescue), uno dei reparti del 15° Stormo CSAR di Cervia (Ravenna) equipaggiato con gli elicotteri HH-3F, con compiti di ricerca e soccorso degli
equipaggi di volo in difficoltà e di dispersi in mare o in montagna,
trasporto sanitario d’urgenza e soccorso di traumatizzati gravi. Dalla
seconda metà degli anni Ottanta, Trapani Birgi è pure una delle basi operative avanzate (FOB) degli aerei-radar E-3A AWACS nell’ambito del programma multinazionale NATO Airborne Early Warning Force per la sorveglianza integrata dello spazio aereo, il cui comando generale è ospitato a Geilenkirchen (Germania).
Sino allo scorso 23
maggio, il 18° Gruppo dell’AMI ha operato da Trapani con i
cacciabombardieri F-16 “Fighting Falcon”, ottenuti in leasing nel giugno
2003 dagli Stati Uniti con il programma Peace Caesar. “Il
programma nasceva dalla necessità dell’Aeronautica di dotarsi di un
velivolo caccia in attesa dell’ingresso in servizio del nuovo
Eurofigther 2000 Typhoon”, spiega in una nota il Ministero della difesa italiano. Peace Caesar prese avvio il 15 marzo 2001 con la firma tra Italia e Stati Uniti del Foreign Military Sale,
un contratto che prevedeva il pagamento delle sole ore di volo
(45.000), fino al 2010, di 34 caccia F-16 di proprietà US Air Force. Il
contratto
imponeva inoltre il coinvolgimento nella manutenzione dei velivoli di
personale italiano e statunitense e l’addestramento di piloti e tecnici
dell’Aeronautica presso il 162nd Tactical Fighter Wing dell’Air National
Guard a Tucson (USA). Nel 2009 il programma è stato prorogato sino al
primo semestre 2012 e il totale delle ore di volo è stato esteso a
47.800. Con piena soddisfazione di Washington che ha rafforzato la sua
posizione politica e finanziaria di fronte al partner-cliente italiano.
“Durante
i nove anni di attività in Italia, i caccia F-16 sono stati impiegati
quotidianamente per la difesa dello spazio aereo nazionale”, afferma il
Ministero della difesa. “I velivoli sono stati impiegati pure in
occasione dei grandi eventi svolti in Italia negli ultimi anni come, ad
esempio, durante l’inaugurazione del pontificato di Benedetto XVI (Operazione Jupiter, aprile 2005), in occasione delle olimpiadi invernali di Torino 2006 e nel 2009 durante l’operazione militare interforze Giotto per il dispositivo di sicurezza del summit G8 tenutosi a L’Aquila”.
Ancora più significativi gli interventi bellici dei mezzi e degli uomini del 37° Stormo di Trapani Birgi.
Nel 1986, durante la prima crisi con la Libia, il reparto ha assicurato
la “scorta degli aerei civili diretti nelle isole minori, nonché la
protezione delle navi impegnate nell’area”. Gli F-16 del 18° Gruppo sono
stati poi ampiamente utilizzati durante l’operazione Allied Force in Kosovo nel 1999 e, lo scorso anno, nelle azioni di guerra in Libia, prima sotto il comando di US Africom (Odyssey Dawn) e poi della NATO (Unified Protector). Nella prima fase del conflitto libico, nello
specifico, sono stati assegnati al Gruppo di Trapani i compiti di
“protezione e scorta delle missioni di soppressione delle difese aeree
nemiche (SEAD)” e di “offensiva contro-aerea (OCA)”. Successivamente,
sono giunte le missioni di “protezione di assetti di alto valore
strategico (principalmente aerei rifornitori ed aerei radar AWACS),
ricerca ed intercettazione di elicotteri e di aerei a bassa velocità,
implementazione della No Fly Zone, difesa aerea”.
L’aeroporto
di Trapani è stato sicuramente quello più impegnato nelle operazioni di
guerra in Libia. Le attività alleate sono iniziate il 19 marzo 2011 e
sono proseguite senza soluzione di continuità fino al 31 ottobre, anche
se alcune componenti aeree sono rimaste operative a Birgi sino al
successivo 14 dicembre, giorno in cui si è tenuta la cerimonia ufficiale di chiusura dell’operazione Unified Protector. “A
Trapani sono confluiti tutti i supporti, uomini e donne, inviati dagli
altri reparti dell’Aeronautica Militare per garantire la sostenibilità
delle operazioni in modo continuo, e per questo è stato
costituito il Task Group Air Birgi, un’unità dedicata alla
gestione delle missioni della componente aerea italiana, che si è
avvalsa del supporto tecnico e logistico del 37° Stormo per la
preparazione e la condotta dei voli”, ricorda il Ministero della difesa.
“I servizi e i supporti sono stati allo stesso modo assicurati anche
alle altre componenti NATO rischierate sulla base e hanno compreso,
sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno, l’assistenza tecnica a
terra, il rifornimento di carburante, il controllo del traffico aereo,
il servizio meteorologico, quello antincendio, l’assistenza sanitaria,
il servizio di sicurezza, oltre all’alloggiamento e il vettovagliamento
per tutto il personale presente”.
Nei sette mesi di attività, il Task Group Air Birgi ha totalizzato quasi 1.700 missioni per un totale di oltre 6.700 ore di volo operate con gli F-16 del 37° Stormo, i caccia intercettori Eurofighter del 4° Stormo di Grosseto e del 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari), i cacciabombardieri Tornado IDS
del 6° Stormo di Ghedi (Brescia) ed ECR del 50° Stormo di Piacenza e
gli AMX del 32° Stormo di Amendola (Foggia) e del 51° Stormo di Istrana
(Treviso). Nel corso delle operazioni, i velivoli AMI hanno sganciato in
Libia più di 500 tra bombe e missili da crociera a lunga gittata. Dal Task Group Air Birgi è dipeso infine l’utilizzo degli aerei senza pilota Predator
B schierati nello scalo pugliese di Amendola.
Per tutto il corso del conflitto, a Trapani sono stati schierati pure sette caccia F-18 Hornet, due velivoli tanker C-150T e due CP-140 Aurora
per la guerra elettronica delle forze armate canadesi, tre velivoli
E-3A AWACS della NATO e due AWACS e due aerei da trasporto VC-10 Vickers
dell’aeronautica britannica. Dallo scalo siciliano sono transitati pure
300 aerei cargo e circa 2.000 tonnellate di materiale a disposizione
della coalizione alleata. Stando alle stime ufficiali, la NATO avrebbe
lanciato da Trapani quasi il 14% dei blitz aerei contro obiettivi libici. Un
vero primato di morte.
A
causa delle prolungate operazioni belliche in nord Africa, il traffico
civile di Trapani Birgi ha subito una drastica riduzione. Solo nel mese
di maggio 2011, la compagnia aerea low cost Ryanair è stata
costretta a cancellare 72 voli. “Nello stesso mese, la limitazione
imposta dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica si è tradotta in un 20% in
meno nel traffico passeggeri e in un 16% in meno nei movimenti dei
velivoli”, ha dichiarato AirGest, la società che gestisce lo scalo.
Oltre agli enormi disagi per i passeggeri, la ipermilitarizzazione di
Trapani Birgi dello scorso anno ha causato il crollo verticale dei
profitti delle compagnie aeree e delle presenze turistiche e pesanti
effetti sul fronte
occupazionale. I
70 dipendenti a tempo indeterminato dello scalo hanno rischiato di
essere messi in mobilità mentre ad alcuni dei lavoratori a tempo
determinato ed interinali è stato negato il rinnovo dei contratti. Tagli
pure tra il personale adibito ai servizi aeroportuali (bar e
ristorazione, pulizia, noleggio auto, taxi, ecc.). Con i droni USA e
NATO perennemente in rotta sui cieli del trapanese, le condizioni
economiche e occupazionali di centinaia di lavoratori siciliani
potrebbero ulteriormente peggiorare.
sabato 23 giugno 2012
martedì 22 maggio 2012
Introduzione ad una riflessione sulla politica
Un tempo mi avrebbe entusiasmato l'elezione di un sindaco di
Rifondazione Comunista in Sicilia... com'è accaduto a Palagonia
(CT). Oggi, invece, penso che serva a poco - rispetto ad un disegno di reale cambiamento - ed assuma un valore differente da quello che è avvertito: è utile a svelare il
malcontento della gente ed a sfatare il mito che la politica sia solo un affare per i moderati e gli pseudo-riformisti; è indice del disorientamento e della lesione del sistema. Ma ponendo la stessa
rifondazione comunista quale forza moderata e conservatrice (quantomeno perché è
un partito parlamentarista e, pure predicandone una ipotetica forma
"radicale", riformista), neppure quella che appare come una "rivoluzione", ed è chiacchierata nei dibattiti politici di sistema quale vittoria radicale, potrà mai esserlo davvero.
Bene... la politica oggi non si decide, realmente, a livello dello
Stato e delle istituzioni - anzi, potremmo dire che nelle istituzioni
si "sdecide", vista la tendenza a ridurre la legislazione
sociale - ma viene stabilita da qualcosa di altro. Il mercato
capitalistico è una prima risposta, ma decisamente incompleta [e dovremmo
approfondire]. In sostanza però possiamo notare e sentire un insieme di
“forze” che ai nostri giorni inibiscono l'azione politica tradizionale ed
impediscono alla Decisione di generarsi nei "luoghi" della
politica fin'ora riconosciuti... come i Consigli e le giunte comunali,
le assemblee regionali ma anche i parlamenti nazionali e i governi. E
nemmeno le istituzioni politiche sovranazionali svolgono il ruolo di "decisori"
delle politiche nel senso moderno del termine.
Eccoci: partiti che vivono incongruenze ideologiche (chi da decenni, come i partiti comunisti; chi da meno tempo come i movimenti populisti); voglia di cambiamento e voglia di politica; e... incapacità a coprendere cos'è e dove si trova la politica oggi.
Viviamo nel tempo in cui la letteratura sociologica e politologica invita a rimettere in discussione tutte le categorie: dall'identità, alla comunità, alla cittadinanza, ai luoghi, allo spazio, passando per lo Stato ed il mercato. Tutte queste parole, che sottendono costruzioni ben precise della modernità, diventano sempre meno adatte a raccontare il presente. Evidentemente, se è ipotizzabile che diventi inutile parlare di identità [Bauman, 2004] poiché sono molteplici la variazioni che un individuo, un gruppo, un fenomeno o un oggetto subiscono durante la loro esistenza nell'età dei consumi, potremmo arrivare persino a postulare, nel nostro presente, forme della politica decisamente innovative... fatte di "strumenti" ancora non codificati. E certamente siamo invitati ad aprire gli occhi ancora di più, fino alla "rottura dei limiti di compatibilità di sistema" - espressione usata dal Melucci per spiegare lo "statu nascendi" dei movimenti che qui ampliamo fino alle estreme conseguenze - e quasi come nella riedizione dell'incipit di un celebre cortometraggio di Luis Buñuel e Salvador Dalì.
Affermare che stiamo vivendo una fase molto matura della
cosiddetta "globalizzazione" è, dunque, la chiave di volta di tutto
il discorso. Come farà il “rivoluzionario” sindaco di Palagonia a
cambiare le sorti di quella che ormai non è più nemmeno una
"comunità" in senso tradizionale - nell'era di internet,
dell'abbattimento dei confini e delle distanze, nel tempo della
libertà di circolazione e del graduale mescolamento delle culture - e mentre il lavoro stesso (la piaga più grave oggi avvertita) ha
cambiato il suo valore nel quadro della regolazione sociale e, per
altro, è determinato da leggi molto più grandi delle nostre
Costituzioni e della nostra buona volontà di
creare “nuovi posti di lavoro”? Come si creano i posti di lavoro,
se, per altro, non sfuggendo all'ordine legale, non viene ripudiato
il capitalismo? E l'opposizione alle tasse.... la si gestisce solo come un fenomeno di ribellione agli abusi di gruppi ai quali manca, d'improvviso, un riconoscimento? E
poi... basterà riempirsi la bocca di slogan sui “beni comuni” e
far vincere le elezioni ai paladini di questi ultimi... a rendere
questi beni davvero comuni? Esistono, è vero, pratiche di buona
politica; o meglio esistono pratiche buone di “alleggerimento”
rispetto alla società capitalistica. Ma, se ci si pensa bene, si
tratta di fenomeni ingannevoli: da un lato pongono in essere
politiche apparentemente oculate indirizzate verso il risparmio, la
fine della corruzione, il taglio dei privilegi della classe
dirigente; dall'altro proclamano gli ideali di bene comune con
formule astratte e spacciano il riformismo per la rivoluzione. Ci
sarebbe da dire che i privilegi e la corruzione sono esistiti ed
esistono per una qualche ragione, ed hanno avuto conseguenze che
nessuno accetta di riconoscere come “positive”, ma che, nel senso
comune, lo sono. Per cui togliendo la stampella (se è una di quelle
importanti) bisognerà star attenti che il malato non rovini
miseramente per terra; vale a dire chiedersi se affidare alla
legalità, con la morale della meritocrazia, anche gli ultimi
territori liberi... non sia peggio che andar di notte! In termini
ancora più spiccioli: lo Stato, la legalità odierna, possono oggi
rappresentare la via di uscita dai problemi delle nostre società?
Oppure proprio lo Stato e la legalità divengono irriconoscibili, in
quanto promotori di interessi che si trovano in opposizione agli
ideali delle avanguardie, ed alle spinte che, in qualche modo, sono
espresse dal popolo? Staremmo parlando, in tal caso, dello
sganciamento della “legalità” dalla “legittimità”
prevalente, dove la legalità esprime il disegno di una società
capitalista e la legittimità prevede l'avversione a questo disegno
e, come antidoto, l'eversione.
Insomma potrei continuare per ore... ma il punto è stato
centrato: come si fa a mutare una legalità (che adotta
inevitabilmente dei dogmi, dei valori assoluti) attraverso la
legalità? E come procedere quando, addirittura, essa non è più
strettamente collegata alle dinamiche dell'ormai ex stato-nazione?
Sebastian Recupero
Sebastian Recupero
venerdì 18 maggio 2012
Torniamo a parlare un po' di mafia
Ieri si è svolto a Roma un incontro tra un gruppo di studenti universitari e Pino Maniaci, ideatore della TV comunitaria anti-mafia Telejato. Lungi da me fare una cronaca della giornata, motivo per il quale non mi soffermerò in dettagli puramente giornalistici, considero più interessante soffermarmi sugli spunti di riflessione che l'incontro mi ha fornito.
Diventa sempre più chiaro che in Sicilia non esista "l'antimafia" quanto piuttosto "le antimafie", dal momento che esiste una forte diversità sia nella concezione della mafia sia nelle forme adottate nel combatterla.
Un discorso a parte andrebbe fatto per l'antimafia istituzionale, un abbinamento di termini che sembra stia diventando sempre più un ossimoro. Ma in questo frangente mi soffermerò essenzialmente sulla cosiddetta antimafia sociale.
Stando a Pino Maniaci in Sicilia sembrerebbe stia avvenendo una sorta di "rifiuto collettivo" della mafia, che mette in grande difficoltà gli uomini d'onore in coppola e lupara costringendo l'organizzazione criminale nel suo complesso a "trasferirsi" in aree in cui prima non era presente, e la cui popolazione non ha quindi sviluppato gli "anticorpi" che pare siano ormai presenti invece nel "sistema immunitario" della società siciliana. Ma anche qui ci sono parecchie cose da dire.
Intanto, cos'è la mafia?
Sicuramente dire che la mafia è un'organizzazione criminale è limitativo, molto limitativo. C'è troppo altro. Maniaci parlava di poche migliaia di mafiosi a fronte di milioni di siciliani, ovvero una netta minoranza. Ma il discorso regge?
La mafia in Sicilia ha spesso avuto un ruolo sociale non indifferente, ha caratterizzato lunghi tratti della nostra storia e indirettamente continua ancora a farlo. La (quasi religiosa) devozione nei confronti della figura del cosiddetto uomo d'onore, che per certi versi ancora continua in altre forme rispetto al passato, non è saltata sicuramente fuori dal nulla, è frutto di una lunga costruzione sociale di tale figura.
Quindi denunciare il "mafioso" senza coinvolgere nella denuncia anche quel sistema sociale che lo crea e lo legittima diventa un'opera (per quanto meritevole di rispetto, in quanto Pino Maniaci rischia la sua stessa vita nella sua azione, così come l'intera sua famiglia, che collabora ai servizi di Telejato) quasi "marginale" rispetto a quella che è la reale portata del problema della mafia in Sicilia.
Poi bisogna anche considerare dei fattori, magari molto scomodi, che però è impossibile ignorare.
Il vuoto lasciato dallo Stato nelle regioni meridionali del nostro Paese ha permesso alle organizzazioni mafiose di essere, per lunghi periodi, l'unico punto di riferimento reale dei cittadini di quei luoghi.
Paradossalmnte la mafia ha svolto in Sicilia quelle funzione proprie di una qualsiasi macchina statale, seppure con metodi "alternativi".
Parlo di controllo del territorio, mantenimento dell'ordine, sviluppo economico arrivando perfino a svolgere il ruolo di "ammortizzatore sociale", dotandosi di un proprio "apparato burocratico" e di una propria "forza militare". Uno Stato nello Stato.
Il metodo utilizzato non è differente da quelli delle varie dittature tipiche dei paesi che potremmo definire "a sviluppo capitalistico arretrato", dove la necessità di mantenere il potere porta ad un utilizzo sistematico della violenza in quanto tale potere non è abbastanza saldo da potersi permettere il lusso della democrazia.
In poche parole, lo Stato italiano (per vari motivi) ha abbandonato politicamente al suo destino il Sud, e quest'ultimo si è organizzato per i fatti suoi. La tanto decantata autonomia siciliana ce l'abbiamo avuta, in un modo o nell'altro. E dato che la Sicilia non è estranea alle leggi universali che regolano i processi di sviluppo capitalistico, la forma di potere che qui si è creata era la più idonea al livello raggiunto dalle forze produttive nella nostra terra. Ovviamente i distinguo da fare sono parecchi, me ne rendo conto, soprattutto per il fatto che questa forma di potere nasceva in un terreno estraneo a quello istituzionale, col quale finiva inesorabilmente per entrare in conflitto, ma le dinamiche generali restano le stesse. Lo Stato e la Mafia agivano come "forze concorrenti", in una terra non ancora pronta per la democrazia di stampo liberale.
Tutto questo ha creato un profondo radicamento della "cultura mafiosa" che ancora oggi è difficile estirpare, e la prova più evidente si ha quando il siciliano medio (non vi incazzate ma è così, parlo per esperienza diretta) ha meno diffidenza nel mafioso nostrano piuttosto che nella politica istituzionale che fa capo a Roma, e l'antimafia, di qualunque stampo, credo sia costretta a tenere sempre a mente questo "dettaglio" fondamentale, se no è una lotta contro i mulini a vento.
Ci sarebbero ancora tante, troppe cose da dire sull'argomento, ma la lunghezza di quanto già scritto mi suggerisce di trattarle magari in un prossimo post.
Giuseppe.
Diventa sempre più chiaro che in Sicilia non esista "l'antimafia" quanto piuttosto "le antimafie", dal momento che esiste una forte diversità sia nella concezione della mafia sia nelle forme adottate nel combatterla.
Un discorso a parte andrebbe fatto per l'antimafia istituzionale, un abbinamento di termini che sembra stia diventando sempre più un ossimoro. Ma in questo frangente mi soffermerò essenzialmente sulla cosiddetta antimafia sociale.
Stando a Pino Maniaci in Sicilia sembrerebbe stia avvenendo una sorta di "rifiuto collettivo" della mafia, che mette in grande difficoltà gli uomini d'onore in coppola e lupara costringendo l'organizzazione criminale nel suo complesso a "trasferirsi" in aree in cui prima non era presente, e la cui popolazione non ha quindi sviluppato gli "anticorpi" che pare siano ormai presenti invece nel "sistema immunitario" della società siciliana. Ma anche qui ci sono parecchie cose da dire.
Intanto, cos'è la mafia?
Sicuramente dire che la mafia è un'organizzazione criminale è limitativo, molto limitativo. C'è troppo altro. Maniaci parlava di poche migliaia di mafiosi a fronte di milioni di siciliani, ovvero una netta minoranza. Ma il discorso regge?
La mafia in Sicilia ha spesso avuto un ruolo sociale non indifferente, ha caratterizzato lunghi tratti della nostra storia e indirettamente continua ancora a farlo. La (quasi religiosa) devozione nei confronti della figura del cosiddetto uomo d'onore, che per certi versi ancora continua in altre forme rispetto al passato, non è saltata sicuramente fuori dal nulla, è frutto di una lunga costruzione sociale di tale figura.
Quindi denunciare il "mafioso" senza coinvolgere nella denuncia anche quel sistema sociale che lo crea e lo legittima diventa un'opera (per quanto meritevole di rispetto, in quanto Pino Maniaci rischia la sua stessa vita nella sua azione, così come l'intera sua famiglia, che collabora ai servizi di Telejato) quasi "marginale" rispetto a quella che è la reale portata del problema della mafia in Sicilia.
Poi bisogna anche considerare dei fattori, magari molto scomodi, che però è impossibile ignorare.
Il vuoto lasciato dallo Stato nelle regioni meridionali del nostro Paese ha permesso alle organizzazioni mafiose di essere, per lunghi periodi, l'unico punto di riferimento reale dei cittadini di quei luoghi.
Paradossalmnte la mafia ha svolto in Sicilia quelle funzione proprie di una qualsiasi macchina statale, seppure con metodi "alternativi".
Parlo di controllo del territorio, mantenimento dell'ordine, sviluppo economico arrivando perfino a svolgere il ruolo di "ammortizzatore sociale", dotandosi di un proprio "apparato burocratico" e di una propria "forza militare". Uno Stato nello Stato.
Il metodo utilizzato non è differente da quelli delle varie dittature tipiche dei paesi che potremmo definire "a sviluppo capitalistico arretrato", dove la necessità di mantenere il potere porta ad un utilizzo sistematico della violenza in quanto tale potere non è abbastanza saldo da potersi permettere il lusso della democrazia.
In poche parole, lo Stato italiano (per vari motivi) ha abbandonato politicamente al suo destino il Sud, e quest'ultimo si è organizzato per i fatti suoi. La tanto decantata autonomia siciliana ce l'abbiamo avuta, in un modo o nell'altro. E dato che la Sicilia non è estranea alle leggi universali che regolano i processi di sviluppo capitalistico, la forma di potere che qui si è creata era la più idonea al livello raggiunto dalle forze produttive nella nostra terra. Ovviamente i distinguo da fare sono parecchi, me ne rendo conto, soprattutto per il fatto che questa forma di potere nasceva in un terreno estraneo a quello istituzionale, col quale finiva inesorabilmente per entrare in conflitto, ma le dinamiche generali restano le stesse. Lo Stato e la Mafia agivano come "forze concorrenti", in una terra non ancora pronta per la democrazia di stampo liberale.
Tutto questo ha creato un profondo radicamento della "cultura mafiosa" che ancora oggi è difficile estirpare, e la prova più evidente si ha quando il siciliano medio (non vi incazzate ma è così, parlo per esperienza diretta) ha meno diffidenza nel mafioso nostrano piuttosto che nella politica istituzionale che fa capo a Roma, e l'antimafia, di qualunque stampo, credo sia costretta a tenere sempre a mente questo "dettaglio" fondamentale, se no è una lotta contro i mulini a vento.
Ci sarebbero ancora tante, troppe cose da dire sull'argomento, ma la lunghezza di quanto già scritto mi suggerisce di trattarle magari in un prossimo post.
Giuseppe.
mercoledì 25 gennaio 2012
cominciamo da qui.
Patti o la Sicilia non sono luoghi scollegati dal mondo. Un cambiamento vero si fa pensando prima di tutto a queste cose. Se saremo disposti a rinunciare a quelle che per noi sono delle certezze, per altro false, potremo fare qualcosa. Da qui dobbiamo cominciare. E dobbiamo avere CORAGGIO.
CORAGGIO.
lunedì 16 gennaio 2012
Inquietudine siciliana
Inquietudine. Le ore che passano portano dentro di me, lentamente, l'affermazione di una nuova consapevolezza: il non sapere più cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Tutte le più grandi rivoluzioni della storia, mi dico, si sono fatte stimolando la pancia delle masse.. ed anche stavolta potrebbe essere così. Probabilmente, penso, potrebbe anche non essere un male, visto che quelle intellettuali non funzionano quasi mai. Devo tuttavia dichiare la mia inquietudine odierna a fronte della lettura dei fatti di questi ultimi anni. La crisi economica - crisi sistemica del capitalismo-imperialismo (punto e basta) - ha provveduto a stimolare molto la partecipazione politica o pseudo tale e comunque a rendere partecipi (mobilitare) un numero sempre maggiore di persone. L'ausilio di milioni di fonti di informazione dette "libere" non ha tuttavia consentito l'affermersi una coscienza razionale. Tantomeno s'è affermata una responsabilità politica soggettiva. L'unica cosa che pare aver avuto stimolo è stata l'umana capacita di odiare e perseguire "lo straniero", quello che opera all'insaputa e alle spalle del cittadino.
[Con la convinzione di dire nulla di giusto né nulla di sbagliato]
La ricostruizione dei fatti potrebbe essere questa: crisi provocata dall'esplosione della speculazione finanziaria e dalla debolezza dell'economia reale rispetto alla finanza; crisi probabilmente favorita da soggetti sovranazionali poco esposti; rivolte in mezzo mondo e nessun cambiamento del sistema, ma solo il cambiamento delle nomenclature; governi tecnici che vogliono salvare il sistema economico e stringono sulle tasse; standby della democrazia parlamentare; pretesto dello standby della democrazia parlamentare; rivolte contro governi tecnici che chiedono sacrifici senza far pagare alla politica e alle banche; lotta contro i privilegi dei politici; rifiuto a riconoscere il debito pubblico da parte dei cittadini; rifiuto a pagare le tasse sovraccaricate di interessi; mobilitazioni contro lo stato e le istituzioni, volute da gruppi che comunque hanno delle idee proprie; censura - foss'anche temporanea - nell'informazione.
Ecco, seppur forte è in me la tentazione di desiderare un declino delle istituzioni democratiche e del sistema partitico così come del potere finanziario (cosa, quest'ultima, in vero più difficile, e forse solo pretestuosa al momento), con la cancellazione totale di tutto quello che abbiamo conosciuto dalla fine dell'800 ad oggi, è pure vero che nell'assenza di "responsabilità" individuale nei confronti nell'organizzazione sociale si rischia di peggiorare la situazione. Avrei infatti auspicato un maggior fervore dei cittadini contro l'accumulo dei capitali da parte di pochi cittadini (tra i quali anche di furbi e privilegiati) ma certamente anche da categorie sociali che sono divenute importanti attraverso l'intellettualizzazione del lavoro e la burocratizzazione della vita sociale. Se fossi ricco e avessi accumulato un capitale ingente con il mio lavoro, mi lamenterei se me lo volessero togliere, dal momento che quello è, diciamo, frutto del mio lavoro e del mio ingegno; se fossi povero mi lamenterei se lo Stato mi costringesse a pagare ancora più tasse, atteso che già non riesco a pagare quelle che solitamente si pagano; oppure se fossi povero mi dovrei lamentare con i ricchi per aver loro incamerato parte di quella ricchezza che non può esser una cosa personale ma che è di tutti e che quindi è sotratta anche a me. I ricchi, che siano favoriti o meno dagli Stati o no, esistono, come esistono i poveri. Purtroppo questa odiosa distinzione continua anch'essa ad esistere. Ma i poveri non ce l'hanno con i ricchi, perché è solo un caso se anche loro non sono ricchi e perché, in fine, l'ambizione ultima è essere anch'essi ricchi. E i ricchi non ce l'hanno con i poveri, perché se non fossero poveri loro non sarebbero ricchi. Però le due categorie combattono entrambe contro lo stesso straniero, lo Stato, senza accorgersi che così combattono tra loro trovando un alibi.
I politici di oggi e le banche non sono che mediatori del sistema capitalistico della ricchezza che si esplica nella capacità di consumo e nella possibilità di dimostare a se stesso di essere, rispetto ad un altro, qualcosa di "più". Posso anche affermare che i politici sono solo un'altra categoria sociale, che da fortissima (quando il popolo è calmo e gode dl'equilibrio che gli è garantito, anche se le cose vanno male lo stesso) può divenire debolissima (quando per la politica è ormai difficile gestire gli equilibri e le masse si muovono): non è poi vero che chi ha il parente politico lo difende adducendo dell motivazioni convinceti? così come chi ha il parente banchiere, o medico, o dipendente della pubblica amministrazione, o commerciante... difende la categoria? Ma per evitare in fine che la colpa non sia di nessuno ce la si prende con quelli che sono più esposti e meno difendibili perché meno presenti nelle famiglie, cioé i politici. Questi politici, però, sono un'altra categoria di ricchi che fanno il loro lavoro (che gli consente di essere ricchi) e ne approfittano, se ne possono approfittare, come molti altri soggetti sociali (attenzione, non li giustifico: li spiego); d'altronde è solo un caso se noi stessi non siamo politici, ma è parimenti un caso se non apparteniamo ad un'altra categoria di ricchi.
Voglio dire, e forse ho trovato il modo peggiore di esprimermi, che forse il problema è più complesso di quanto appare e che per quanto le speculazioni e i privilegi della politica o delle banche come categorie ci sembrano la massima espressione dei mali del mondo, io vi dico che non è così: vi dico che i mali sono spesso nell'uomo stesso, nella sua natura e quindi in una delle proiezioni più splendide di questa natura, cioè il capitalismo. E non tanto in quello pratico, materiale che c'è o che ci potrebbe essere, ma in quello che ci entra nel cuore e nel cervello.
Certo, a fronte di questa mia testi, se fosse sensata, non aiuterebbero i partiti politici, nemmeno quelli più nuovi e splendenti, almeno finché continueranno ad avere la struttura e la natura oligarchica che hanno mantenuto fino ad oggi. Io li ho vissuti, e ad un certo punto, è stato disarmante. Per altro essi, impantanati nella democrazia liberale ed in una economia liberista richiesta dalle istituzioni democratiche e dalle organizzazioni internazionali, vivono l'empasse delle loro contraddizioni.
Dall'altro lato mi spaventa uno scivolamento fuori da queste istituzioni, senza l'abbandono del capitalismo: è uno scivolamento che si risolve nella prvalenza ultima della prevaricazione e dell'assoggettamento dei singoli utile al fine di salvare di nuovo i difetti umani e lo stesso capitalismo in forme nuove. Così fu con il fascismo.
In Sicilia, il nemico comune (lo straniero) contro cui ricchi e poveri si scagliano ancora più che la politica è lo Stato. Esso (certo non solo in Sicilia o al sud, ma qui in modo particolare) è considerato come entità che bisogna "fottere", quasi sconfiggere. Ora, al di là del fatto che siamo stati ingannnevolmente coinvolti in questa cosa che si chiama Italia, senza mai essere divenuti veramente italiani, e che quindi le politiche condotte fino ad oggi sono state finalizzate alla conservazione delle élites siciliane al fine di fare far progredire la marcia unitaria, e innescando un circolo vizioso fatto di corruzione, assistenzialismo, sottosviluppo (tutto ineludibilmente collegato), ecco, al di là di tutto ciò non si può non affermare almeno un paio di errori del popolo siciliano. Per cominciare direi che la storia è sempre stata fatta di annessioni e operazioni antidemocratiche, ed è inutile piangerne ancora: si potrebbe adare avanti e pretendere singolarmente, con le proprie azioni, che lo Stato sia, anzi, più presente. (non meno, come si è sempre voluto). Putroppo capisco che per come i fatti sono storicamente imposti è difficile. Questi errori, che rischiano di essere tristemente reiterati, cominciano con la mancata ammissione di un sistema di corruzione e pensiero mafioso diffuso, del quale tutti noi abbiamo giovato, e che le nostre famiglie con il loro assenso hanno contribuito costantemente a rigenerare. Forse, certo, sarebbe stato poco conveniente rompere gli equilibri di un sistema corrotto ma che garantiva tutti, nell'assenza di un diritto uniforme e costante; però perchè adesso le rivoluzioni sono rivolte astrattamente solo contro le responsabilità degli altri? A questo punto, prima di riflettere ulteriormente su un tema la quale trattazione, così, è piuttosto incompleta, e che lascierò ad un momento successivo, mi sento di dover aggiungere che viste le proposte degli ultimi tempi, non sarà la rivoluzione autonomista la strada che oggi può salvare un popolo. Insomma, l'autonomia nazionale siciliana non mi sembra un grosso mezzo per scappare alla crisi sistemica del capitalismo, visto che i cuori e le menti di molti siciliani (così come di tutti i cittadini del mondo) sono ancora avvelenati o comunque infetti delle idee figlie di questo capitalismo e cioè del consumismo e dell'ostentazione della ricchezza come mezzo distintivo per l'affermazione egoistica sugli altri.
Per quanto mi riguarda, lo Stato in sé non è necessariamente il nemico: ad essere tale è lo Stato capitalista.
Ora, nell'affermare che la teoria filosofica deve rimanere forte... per evitare che il qualunqusmo ci precipiti in strade buie e tristemente note (di cui sto per accennare), bisogna dire adesso qualcosa sul "movimento dei forconi". Mi sembra che questo movimento porti in dote l'esigenza di una fuoriuscita dall'ordine costituito, che, stando alla storia, ad un certo punto è proprio necessaria; tuttavia mi pare adduca una scarsissima lungimiranza sociale. I contenuti sui quali si batte, per altro, sono sconnessi e dettati dall'emozione, dall'interesse materiale diettamente percepibile. Le masse che si stanno mobilitando non sono molto coscienti del fatto che per anni ed anni hanno loro stessi dato avallo alla corruzione e alla mala politica e che nel frattempo così potevano fare piccole illegalità senza essere disturbati (o dover temere veramente qualcosa), e che il problema lo stanno avvisando solo ora perché la politica non riesce più a reggere l'equilibrico che precedentemente andava bene a tutti, anche se tutti sapevano [mi dico: è normale che vada così ed in fondo potrebbe essere l'unica soluzione]. Ma dopo, che ci sarà? Se sti benedetti forconi fanno la rivoluzione siciliana [e forse stasera ed a quest'ora aspico già che non siano loro a farla] ...dopo che organizzazione sociale sceglieranno? e la legalità cosa sarà? e il sistema economico come funzionerà? Certo non potranno poi dire le stesse parole di oggi per additarle contro il nemico: benzina, tasse, agenzia delle entrate, statuto speciale, e farneticazioni poco brillanti sull'agricoltura (che evidentemente non tengono conto delle dinamiche mondiali). Forse è sbagliato domandarselo, tuttavia sono inquieto proprio per questo motivo.
E ancora la mia inquietudine si manifesta nella consapevolezza che dietro ad ogni movimento c'è la mano di qualcuno che è stato più bravo degli altri e ha trovato il momento giusto e le condizioni per mobilitare le masse. E questo qualcuno difficilmente si astiene dal far prevalere la propria idea. E i leader di questi movimenti o di questo movimento...sono noti per essere ideologi e fanatici post-fascisti. Ma oggi tutti a pubblicare il link dei forconi su facebook: io che credo me stesso un rivoluzionario non ho saputo far altro che difenderli e a metà condannarli in una discussione della quale subito dopo non ero più contento. Ma non sono nemmeno preso dalla rivoluzione, che non sento. E non credo. E forse per esser un rivoluzionario vero bisogna farsi trasportare dagli eventi, sennò si è solo rivoluzionari sulla carta. Ma allora, se avrò sempre bisogno di tempo per carpirla e in fine se non mi andrà questa specie di rivoluzione, allora si: preferisco la carta.
La deriva delle nuove forme di fascismo e di autoriarismo è un pericolo grossissimo per la vita del'umanità intera: la risposta alla crisi non dovrà mai essere questa. Lo dico ai "forconisti" inconsapevoli e a quelli fiduciosi di cambiare davvero qualcosa: il vostro disinteresse verso quella che sarà l'organizzazione sociale di domani e il fatto che se ne interessino altri per voi, porterà, quando sarete impreparati e vittoriosi, all'annientamento della libertà.
Ma spero che non sia così. Spero di svegliarmi e vedere un popolo unito contro tutti i veri mali del mondo, a partire da se stesso.
[Con la convinzione di dire nulla di giusto né nulla di sbagliato]
La ricostruizione dei fatti potrebbe essere questa: crisi provocata dall'esplosione della speculazione finanziaria e dalla debolezza dell'economia reale rispetto alla finanza; crisi probabilmente favorita da soggetti sovranazionali poco esposti; rivolte in mezzo mondo e nessun cambiamento del sistema, ma solo il cambiamento delle nomenclature; governi tecnici che vogliono salvare il sistema economico e stringono sulle tasse; standby della democrazia parlamentare; pretesto dello standby della democrazia parlamentare; rivolte contro governi tecnici che chiedono sacrifici senza far pagare alla politica e alle banche; lotta contro i privilegi dei politici; rifiuto a riconoscere il debito pubblico da parte dei cittadini; rifiuto a pagare le tasse sovraccaricate di interessi; mobilitazioni contro lo stato e le istituzioni, volute da gruppi che comunque hanno delle idee proprie; censura - foss'anche temporanea - nell'informazione.
Ecco, seppur forte è in me la tentazione di desiderare un declino delle istituzioni democratiche e del sistema partitico così come del potere finanziario (cosa, quest'ultima, in vero più difficile, e forse solo pretestuosa al momento), con la cancellazione totale di tutto quello che abbiamo conosciuto dalla fine dell'800 ad oggi, è pure vero che nell'assenza di "responsabilità" individuale nei confronti nell'organizzazione sociale si rischia di peggiorare la situazione. Avrei infatti auspicato un maggior fervore dei cittadini contro l'accumulo dei capitali da parte di pochi cittadini (tra i quali anche di furbi e privilegiati) ma certamente anche da categorie sociali che sono divenute importanti attraverso l'intellettualizzazione del lavoro e la burocratizzazione della vita sociale. Se fossi ricco e avessi accumulato un capitale ingente con il mio lavoro, mi lamenterei se me lo volessero togliere, dal momento che quello è, diciamo, frutto del mio lavoro e del mio ingegno; se fossi povero mi lamenterei se lo Stato mi costringesse a pagare ancora più tasse, atteso che già non riesco a pagare quelle che solitamente si pagano; oppure se fossi povero mi dovrei lamentare con i ricchi per aver loro incamerato parte di quella ricchezza che non può esser una cosa personale ma che è di tutti e che quindi è sotratta anche a me. I ricchi, che siano favoriti o meno dagli Stati o no, esistono, come esistono i poveri. Purtroppo questa odiosa distinzione continua anch'essa ad esistere. Ma i poveri non ce l'hanno con i ricchi, perché è solo un caso se anche loro non sono ricchi e perché, in fine, l'ambizione ultima è essere anch'essi ricchi. E i ricchi non ce l'hanno con i poveri, perché se non fossero poveri loro non sarebbero ricchi. Però le due categorie combattono entrambe contro lo stesso straniero, lo Stato, senza accorgersi che così combattono tra loro trovando un alibi.
I politici di oggi e le banche non sono che mediatori del sistema capitalistico della ricchezza che si esplica nella capacità di consumo e nella possibilità di dimostare a se stesso di essere, rispetto ad un altro, qualcosa di "più". Posso anche affermare che i politici sono solo un'altra categoria sociale, che da fortissima (quando il popolo è calmo e gode dl'equilibrio che gli è garantito, anche se le cose vanno male lo stesso) può divenire debolissima (quando per la politica è ormai difficile gestire gli equilibri e le masse si muovono): non è poi vero che chi ha il parente politico lo difende adducendo dell motivazioni convinceti? così come chi ha il parente banchiere, o medico, o dipendente della pubblica amministrazione, o commerciante... difende la categoria? Ma per evitare in fine che la colpa non sia di nessuno ce la si prende con quelli che sono più esposti e meno difendibili perché meno presenti nelle famiglie, cioé i politici. Questi politici, però, sono un'altra categoria di ricchi che fanno il loro lavoro (che gli consente di essere ricchi) e ne approfittano, se ne possono approfittare, come molti altri soggetti sociali (attenzione, non li giustifico: li spiego); d'altronde è solo un caso se noi stessi non siamo politici, ma è parimenti un caso se non apparteniamo ad un'altra categoria di ricchi.
Voglio dire, e forse ho trovato il modo peggiore di esprimermi, che forse il problema è più complesso di quanto appare e che per quanto le speculazioni e i privilegi della politica o delle banche come categorie ci sembrano la massima espressione dei mali del mondo, io vi dico che non è così: vi dico che i mali sono spesso nell'uomo stesso, nella sua natura e quindi in una delle proiezioni più splendide di questa natura, cioè il capitalismo. E non tanto in quello pratico, materiale che c'è o che ci potrebbe essere, ma in quello che ci entra nel cuore e nel cervello.
Certo, a fronte di questa mia testi, se fosse sensata, non aiuterebbero i partiti politici, nemmeno quelli più nuovi e splendenti, almeno finché continueranno ad avere la struttura e la natura oligarchica che hanno mantenuto fino ad oggi. Io li ho vissuti, e ad un certo punto, è stato disarmante. Per altro essi, impantanati nella democrazia liberale ed in una economia liberista richiesta dalle istituzioni democratiche e dalle organizzazioni internazionali, vivono l'empasse delle loro contraddizioni.
Dall'altro lato mi spaventa uno scivolamento fuori da queste istituzioni, senza l'abbandono del capitalismo: è uno scivolamento che si risolve nella prvalenza ultima della prevaricazione e dell'assoggettamento dei singoli utile al fine di salvare di nuovo i difetti umani e lo stesso capitalismo in forme nuove. Così fu con il fascismo.
In Sicilia, il nemico comune (lo straniero) contro cui ricchi e poveri si scagliano ancora più che la politica è lo Stato. Esso (certo non solo in Sicilia o al sud, ma qui in modo particolare) è considerato come entità che bisogna "fottere", quasi sconfiggere. Ora, al di là del fatto che siamo stati ingannnevolmente coinvolti in questa cosa che si chiama Italia, senza mai essere divenuti veramente italiani, e che quindi le politiche condotte fino ad oggi sono state finalizzate alla conservazione delle élites siciliane al fine di fare far progredire la marcia unitaria, e innescando un circolo vizioso fatto di corruzione, assistenzialismo, sottosviluppo (tutto ineludibilmente collegato), ecco, al di là di tutto ciò non si può non affermare almeno un paio di errori del popolo siciliano. Per cominciare direi che la storia è sempre stata fatta di annessioni e operazioni antidemocratiche, ed è inutile piangerne ancora: si potrebbe adare avanti e pretendere singolarmente, con le proprie azioni, che lo Stato sia, anzi, più presente. (non meno, come si è sempre voluto). Putroppo capisco che per come i fatti sono storicamente imposti è difficile. Questi errori, che rischiano di essere tristemente reiterati, cominciano con la mancata ammissione di un sistema di corruzione e pensiero mafioso diffuso, del quale tutti noi abbiamo giovato, e che le nostre famiglie con il loro assenso hanno contribuito costantemente a rigenerare. Forse, certo, sarebbe stato poco conveniente rompere gli equilibri di un sistema corrotto ma che garantiva tutti, nell'assenza di un diritto uniforme e costante; però perchè adesso le rivoluzioni sono rivolte astrattamente solo contro le responsabilità degli altri? A questo punto, prima di riflettere ulteriormente su un tema la quale trattazione, così, è piuttosto incompleta, e che lascierò ad un momento successivo, mi sento di dover aggiungere che viste le proposte degli ultimi tempi, non sarà la rivoluzione autonomista la strada che oggi può salvare un popolo. Insomma, l'autonomia nazionale siciliana non mi sembra un grosso mezzo per scappare alla crisi sistemica del capitalismo, visto che i cuori e le menti di molti siciliani (così come di tutti i cittadini del mondo) sono ancora avvelenati o comunque infetti delle idee figlie di questo capitalismo e cioè del consumismo e dell'ostentazione della ricchezza come mezzo distintivo per l'affermazione egoistica sugli altri.
Per quanto mi riguarda, lo Stato in sé non è necessariamente il nemico: ad essere tale è lo Stato capitalista.
Ora, nell'affermare che la teoria filosofica deve rimanere forte... per evitare che il qualunqusmo ci precipiti in strade buie e tristemente note (di cui sto per accennare), bisogna dire adesso qualcosa sul "movimento dei forconi". Mi sembra che questo movimento porti in dote l'esigenza di una fuoriuscita dall'ordine costituito, che, stando alla storia, ad un certo punto è proprio necessaria; tuttavia mi pare adduca una scarsissima lungimiranza sociale. I contenuti sui quali si batte, per altro, sono sconnessi e dettati dall'emozione, dall'interesse materiale diettamente percepibile. Le masse che si stanno mobilitando non sono molto coscienti del fatto che per anni ed anni hanno loro stessi dato avallo alla corruzione e alla mala politica e che nel frattempo così potevano fare piccole illegalità senza essere disturbati (o dover temere veramente qualcosa), e che il problema lo stanno avvisando solo ora perché la politica non riesce più a reggere l'equilibrico che precedentemente andava bene a tutti, anche se tutti sapevano [mi dico: è normale che vada così ed in fondo potrebbe essere l'unica soluzione]. Ma dopo, che ci sarà? Se sti benedetti forconi fanno la rivoluzione siciliana [e forse stasera ed a quest'ora aspico già che non siano loro a farla] ...dopo che organizzazione sociale sceglieranno? e la legalità cosa sarà? e il sistema economico come funzionerà? Certo non potranno poi dire le stesse parole di oggi per additarle contro il nemico: benzina, tasse, agenzia delle entrate, statuto speciale, e farneticazioni poco brillanti sull'agricoltura (che evidentemente non tengono conto delle dinamiche mondiali). Forse è sbagliato domandarselo, tuttavia sono inquieto proprio per questo motivo.
E ancora la mia inquietudine si manifesta nella consapevolezza che dietro ad ogni movimento c'è la mano di qualcuno che è stato più bravo degli altri e ha trovato il momento giusto e le condizioni per mobilitare le masse. E questo qualcuno difficilmente si astiene dal far prevalere la propria idea. E i leader di questi movimenti o di questo movimento...sono noti per essere ideologi e fanatici post-fascisti. Ma oggi tutti a pubblicare il link dei forconi su facebook: io che credo me stesso un rivoluzionario non ho saputo far altro che difenderli e a metà condannarli in una discussione della quale subito dopo non ero più contento. Ma non sono nemmeno preso dalla rivoluzione, che non sento. E non credo. E forse per esser un rivoluzionario vero bisogna farsi trasportare dagli eventi, sennò si è solo rivoluzionari sulla carta. Ma allora, se avrò sempre bisogno di tempo per carpirla e in fine se non mi andrà questa specie di rivoluzione, allora si: preferisco la carta.
La deriva delle nuove forme di fascismo e di autoriarismo è un pericolo grossissimo per la vita del'umanità intera: la risposta alla crisi non dovrà mai essere questa. Lo dico ai "forconisti" inconsapevoli e a quelli fiduciosi di cambiare davvero qualcosa: il vostro disinteresse verso quella che sarà l'organizzazione sociale di domani e il fatto che se ne interessino altri per voi, porterà, quando sarete impreparati e vittoriosi, all'annientamento della libertà.
Ma spero che non sia così. Spero di svegliarmi e vedere un popolo unito contro tutti i veri mali del mondo, a partire da se stesso.
Sebastian Recupero
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