Ieri si è svolto a Roma un incontro tra un gruppo di studenti universitari e Pino Maniaci, ideatore della TV comunitaria anti-mafia Telejato. Lungi da me fare una cronaca della giornata, motivo per il quale non mi soffermerò in dettagli puramente giornalistici, considero più interessante soffermarmi sugli spunti di riflessione che l'incontro mi ha fornito.
Diventa sempre più chiaro che in Sicilia non esista "l'antimafia" quanto piuttosto "le antimafie", dal momento che esiste una forte diversità sia nella concezione della mafia sia nelle forme adottate nel combatterla.
Un discorso a parte andrebbe fatto per l'antimafia istituzionale, un abbinamento di termini che sembra stia diventando sempre più un ossimoro. Ma in questo frangente mi soffermerò essenzialmente sulla cosiddetta antimafia sociale.
Stando a Pino Maniaci in Sicilia sembrerebbe stia avvenendo una sorta di "rifiuto collettivo" della mafia, che mette in grande difficoltà gli uomini d'onore in coppola e lupara costringendo l'organizzazione criminale nel suo complesso a "trasferirsi" in aree in cui prima non era presente, e la cui popolazione non ha quindi sviluppato gli "anticorpi" che pare siano ormai presenti invece nel "sistema immunitario" della società siciliana. Ma anche qui ci sono parecchie cose da dire.
Intanto, cos'è la mafia?
Sicuramente dire che la mafia è un'organizzazione criminale è limitativo, molto limitativo. C'è troppo altro. Maniaci parlava di poche migliaia di mafiosi a fronte di milioni di siciliani, ovvero una netta minoranza. Ma il discorso regge?
La mafia in Sicilia ha spesso avuto un ruolo sociale non indifferente, ha caratterizzato lunghi tratti della nostra storia e indirettamente continua ancora a farlo. La (quasi religiosa) devozione nei confronti della figura del cosiddetto uomo d'onore, che per certi versi ancora continua in altre forme rispetto al passato, non è saltata sicuramente fuori dal nulla, è frutto di una lunga costruzione sociale di tale figura.
Quindi denunciare il "mafioso" senza coinvolgere nella denuncia anche quel sistema sociale che lo crea e lo legittima diventa un'opera (per quanto meritevole di rispetto, in quanto Pino Maniaci rischia la sua stessa vita nella sua azione, così come l'intera sua famiglia, che collabora ai servizi di Telejato) quasi "marginale" rispetto a quella che è la reale portata del problema della mafia in Sicilia.
Poi bisogna anche considerare dei fattori, magari molto scomodi, che però è impossibile ignorare.
Il vuoto lasciato dallo Stato nelle regioni meridionali del nostro Paese ha permesso alle organizzazioni mafiose di essere, per lunghi periodi, l'unico punto di riferimento reale dei cittadini di quei luoghi.
Paradossalmnte la mafia ha svolto in Sicilia quelle funzione proprie di una qualsiasi macchina statale, seppure con metodi "alternativi".
Parlo di controllo del territorio, mantenimento dell'ordine, sviluppo economico arrivando perfino a svolgere il ruolo di "ammortizzatore sociale", dotandosi di un proprio "apparato burocratico" e di una propria "forza militare". Uno Stato nello Stato.
Il metodo utilizzato non è differente da quelli delle varie dittature tipiche dei paesi che potremmo definire "a sviluppo capitalistico arretrato", dove la necessità di mantenere il potere porta ad un utilizzo sistematico della violenza in quanto tale potere non è abbastanza saldo da potersi permettere il lusso della democrazia.
In poche parole, lo Stato italiano (per vari motivi) ha abbandonato politicamente al suo destino il Sud, e quest'ultimo si è organizzato per i fatti suoi. La tanto decantata autonomia siciliana ce l'abbiamo avuta, in un modo o nell'altro. E dato che la Sicilia non è estranea alle leggi universali che regolano i processi di sviluppo capitalistico, la forma di potere che qui si è creata era la più idonea al livello raggiunto dalle forze produttive nella nostra terra. Ovviamente i distinguo da fare sono parecchi, me ne rendo conto, soprattutto per il fatto che questa forma di potere nasceva in un terreno estraneo a quello istituzionale, col quale finiva inesorabilmente per entrare in conflitto, ma le dinamiche generali restano le stesse. Lo Stato e la Mafia agivano come "forze concorrenti", in una terra non ancora pronta per la democrazia di stampo liberale.
Tutto questo ha creato un profondo radicamento della "cultura mafiosa" che ancora oggi è difficile estirpare, e la prova più evidente si ha quando il siciliano medio (non vi incazzate ma è così, parlo per esperienza diretta) ha meno diffidenza nel mafioso nostrano piuttosto che nella politica istituzionale che fa capo a Roma, e l'antimafia, di qualunque stampo, credo sia costretta a tenere sempre a mente questo "dettaglio" fondamentale, se no è una lotta contro i mulini a vento.
Ci sarebbero ancora tante, troppe cose da dire sull'argomento, ma la lunghezza di quanto già scritto mi suggerisce di trattarle magari in un prossimo post.
Giuseppe.
venerdì 18 maggio 2012
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