venerdì 22 marzo 2013

Per rifiutare la paura di cambiare.


LA NOSTRA SICILIA, IL NOSTRO MONDO:
UNA TERRA DI PACE, DI ACCOGLIENZA, DI SVILUPPO SOSTENIBILE, DI OPEROSITÀ, DI RESPONSABILITÀ CONDIVISE E DI GIUSTIZIA.

Questo è quello che abbiamo in mente. Questo è l'impegno che assumiamo con le nostre singole esistenze: stare al mondo e vivere tutta una vita, dai piccoli gesti della quotidianità alle grande azioni collettive, per affermare il bisogno di essere migliori. Tutti quanti. Dare un senso alla nostra esistenza nella ricerca di un destino comune del mondo. Farlo davvero, senza più i vecchi riti della politica, gli egoismi della nostra vita individualizzata, la paura di cambiare che ciascuno di noi coltiva inconsciamente dentro di sé, non per il timore che la strada sia sbagliata ma perché spesso il cambiamento appare come una privazione; come la perdita di una posizione sociale.
Bisogna domandarsi se le nostre vite, spesso imperniate attorno a riti di consumo e alla convinzione che la verità sia una sola, non sarebbero migliori stringendo un nuovo patto e superando insieme la paura di un cambiamento; tentando di affermare una nuova etica e un pensiero differente; o meglio una pluralità di pensieri. Uscire dalle forme attuali, cerarne di nuove.
Questa vita che viviamo è la migliore che possiamo?
La crisi economica di cui tanto si è parlato non nasce nel 2008, viene da lontano: da quando l'uomo è diventato degno della sua umanità solo se considerato in termini economici; e poi da quando l'economia è diventata carta e bytes, scavalcando l'uomo stesso. Cosa che ci ha condotti a vivere delle vite al di sopra delle nostre possibilità – “vite che non possiamo permetterci”, direbbe Bauman – ed ha generato solo grandi disuguaglianze. Purtroppo è vero quel dato spesso preso sottogamba - o considerato secondario rispetto ai vari PIL, PNL, spread etc. – per cui, secondo il più recente “Global Wealth Report” di Credit Suisse, lo 0,5% di persone più ricche controlla più del 35% della ricchezza mondiale. Questo significa gravissimi squilibri ed una vera e propria contrapposizione tra popoli, non tanto per la sopravvivenza, quanto per il predominio culturale. E questa cultura, che ci ha condotto alla colonizzazione del mondo, all'assoggettamento e alla riduzione delle differenze dei popoli, dei gruppi sociali, al dominio ed alla manipolazione del creato a forma umana, è quella che alla fine si ritorce contro noi stessi.
Le privazioni immateriali, sociali - la crescente insicurezza, le ansie, le accentuate patologie psichiche oltre all'emergere di nuove e spaventose incidenze tumorali - si aggiungono alle sempre più forti privazioni materiali dei popoli dell'occidente. La distruzione di buona parte del patrimonio naturale, la compromissioni della salute degli ecosistemi, l'inquinamento, il sovrappopolamento, l'aver ridotto il pianeta ad un posto meno sicuro e poco accogliente per gli altri esseri viventi, ridotti a complemento del nostro dominio umano, tutto questo, è da cambiare. E lo si cambia cominciando a pretenderlo. Lo si pretenda in Sicilia, lo si pretenda in Italia, lo si chieda agli altri popoli del mondo. Non è una questione di riforme possibili né di legislazione: è innanzitutto l'inversione di un paradigma sociale e culturale, che si può raggiungere, gradualmente, cominciando ad affermarla dentro di noi. Pensare e soprattutto vivere la propria vita in modo nuovo è la chiave di ogni possibile cambiamento: l'inversione di quel paradigma, presso un numero sempre maggiore di persone, porta alla necessità di una vita diversa. Quindi tutto quello che dobbiamo fare, ancora prima di pensare di doverci affidare al voto politico e amministrativo, è non smettere di pretendere ciò che si ha a cuore: una trasformazione complessiva del mondo.
Bisogna smettere, piuttosto, di credere che l'importante sia condurre l'amministrazione tecnica delle forme dell'organizzazione sociale odierna. Bisogna smettere di credere che i discorsi più grandi del nostro piccolo orticello siano inutili e risibili. Bisogna sentire nelle proprie vene le offese che questa società planetaria fa alla vita: a quella degli altri ed alla nostra.
La Sicilia rifiuti le logiche di una modernità ormai al tramonto, come l'affermazione di una politica nazionalista sicilianista che rientra nella vecchia logica riscontrabile nella dicotomia amico/nemico. Recuperi, piuttosto, quello che di buono è sempre stata: una terra di pluralità, di differenze, di accoglienza, di amore per la terra, per l'operosità. La Sicilia del 2013 non deve essere una nazione, ma una nuova forma di comunità: che integra, senza annullare, le differenze di ciascun umano venuto a cercare qui la propria vita. E sia allora una terra di vita e non una terra che minaccia la morte, che ne accoglie la prospettiva.
A partire da tutte queste considerazioni, si può giungere al recupero della dignità di ciascuno e ad una nuova affermazione della capacità decisoria dei cittadini, contro le politiche eterodirette dalla cultura di potenza e di prevaricazione, che invocano la guerra tra popoli, e impersonate dai governi delle grandi potenze mondiali e dalle logiche dell'espansione economica. Insomma: si può dire basta alla guerra che insegue interessi economici a danno di qualcun altro. Si può dire, si più chiedere, si può pretendere. E la cosa non è affatto risibile. E' risibile il non avere mai pensato di farlo sul serio. E' risibile la nostra rinuncia davanti a quello che sappiamo essere una cosa giusta. Siamo noi stessi ad essere risibili quando scegliamo di non prendere posizione.
Un mondo migliore, noi, lo vogliamo affermare a partire dalla resurrezione di un popolo. Quel popolo che il 30 marzo si ritroverà a Niscemi (CL) per dire che non abbiamo bisogno di antenne militari statunitensi, che servono a controllare e comunicare ipotesi di morte, occupando le terre di chi, invece, vorrebbe coltivare la vita. E' il popolo che non vuole rischiare di ammalarsi di morte, persino nell'altro senso, molto meno metaforico, della salute dei siciliani.



Il 30 marzo a Niscemi per dire NO al MUOS.
Si tratta di un sistema di 3 antenne satellitari del diametro di 18,4 m, funzionanti in banda Ka per le trasmissioni verso i satelliti e di 2 trasmettitori elicoidali in banda UHF di 149 metri d’altezza, per il posizionamento geografico. Il sistema è finalizzato al controllo di operazioni militari altamente tecnologiche. Scrive Antonio Mazzeo, giornalista e pacifista messinese: "il nuovo sistema di telecomunicazioni dovrà assicurare il collegamento della rete militare Usa (centri di comando, controllo e logistici, le migliaia di utenti mobili come cacciabombardieri, unità navali, sommergibili, reparti operativi, missili Cruise, aerei senza pilota, ecc.), decuplicando la velocità e la quantità delle informazioni trasmesse nell’unità di tempo e rendendo sempre più automatizzati e disumanizzati i conflitti del XXI secolo. Con la conseguenza di accrescere sempre più il rischio di guerra (convenzionale, batteriologica, chimica e/o nucleare) anche per un mero errore di elaborazione da parte dei computer".
 
Il Muos - inizialmente previsto all'interno della base militare di Comiso e spostato a seguito di uno studio statunitense che ha certificato possibili e gravi interferenze con le apparecchiature militari e gli ordigni presenti in loco - dovrebbe essere realizzato nella base NRTF-8 (Naval Radio Transmitter Facility) di Niscemi, presso la Riserva naturale orientata “Sugherata”.
I lavori, iniziati da tempo, sono stati interrotti - per la seconda volta - grazie ad un accordo tra il governo regionale di Crocetta e il governo della Repubblica, datato 11 marzo 2013, il quale ha sottoposto l'eventuale nuovo via libera alla costruzione al rilascio di un parere favorevole da parte dell'Istituto Superiore di Sanità e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, in merito ai rischi legati alle emissioni elettromagnetiche.
Col tempo - la vicenda si protrae dal 2006, anno della ratifica dell'accordo bilaterale tra Italia ed Usa -, sono emersi molteplici dubbi sui rischi per la salute della popolazione, già interessata da forte inquinamento elettromagnetico per la presenza di 41 antenne all'interno della base militare, le quali potrebbero essere causa dell'aumento dell'incidenza tumorale registrata in quella zona.
Nel 2011, uno studio condotto dai professori Massimo Zucchetti e Massimo Coraddu del politecnico di Torino, mette in evidenza alcune importanti lacune dello studio realizzato dall'ARPA Sicilia per il rilascio delle autorizzazioni da parte del governo regionale. In particolare, i docenti mettono in luce degli errori di misurazione, l'utilizzo di strumentazione inadeguata e l'assenza di specifiche tecniche dettagliate sul Muos, coperte dal segreto militare statunitense. Questa situazione, e le nuove misure prodotte da Zucchetti e Coraddu, rivelerebbero una potenziale situazione di rischio per la salute sotto due differenti aspetti: l'eventuale errore di puntamento delle antenne; e l'esposizione prolungata ad un campo elettromagnetico di potenza elevata.
La tesi dei docenti del politecnico si accompagna alle considerazioni, esposte più volte da Zucchetti, che le nuovissime pubblicazioni e gli studi sull'incidenza dell'elettromagnetismo impongono oggi di dare maggiore attenzione al problema, e di verificare la reale necessità di realizzare un'opera come il Muos in Sicilia. Ma noi non vogliamo fermarci a queste considerazioni.
La nuova situazione creata dall'accordo dell'11 marzo scorso, infatti, è lungi dall'essere una vittoria: in primo luogo esiste la contrarietà politica e morale (la ricerca di quel mondo migliore di cui abbiamo detto e la difesa della terra come luogo di vita e di bellezza), facilmente messa in secondo piano centrando tutta l'attenzione sulla questione della salute; e, soprattutto, in riferimento proprio alla salute, non è da escludere che, a norma di legge e stante il probabile mantenimento del segreto sulle specifiche tecniche del Muos, possa arrivare un parere positivo da parte degli enti citati nell'accordo. Chi, per altro, può dire quali saranno le frequenze e la potenza reali con le quali opererà il sistema quando sarà in funzione? E chi può escludere un'ingerenza degli Stati Uniti nel giudizio da quegli enti?
Di recente, per altro, dalle dichiarazioni rilasciate alla Procura di Napoli dall'ex senatore Sergio De Gregorio - passato dall'Idv al Pdl per far cadere il governo Prodi nel 2008 - emergerebbero ipotesi inquietanti: ed esempio, l'interesse e le pressioni della CIA (i servizi segreti Usa) per la fine dell'esperienza di quel governo, inviso agli americani per un atteggiamento freddo e ostile su alcune tematiche tra le quali quella del Muos.

La mobilitazione contro la realizzazione di quest'opera si è fatta particolarmente importante negli ultimi due anni, finendo per porre la questione come tema politico dirimente. Ed il 30 marzo, a Niscemi, verrà ribadita la contrarietà alla realizzazione del Muos sotto tutti i punti di vista, cioè quello politico-morale e quello della tutela della salute e dell'ambiente; i quali, per altro, finiscono per essere l'uno il brodo di coltura dell'altro. 


Sebastian Recupero

mercoledì 6 marzo 2013

Vento dal Venezuela

Nel vento cerco spesso voci e suoni; grida e canti; storie che vengono a spezzare la nostra quiete, sbattute lì nella prima pagina della nostra faccia. 
Stasera, tra le altre cose, ci sento la morte di Hugo Chavez, la sua storia, le sue mille contraddizioni; la voce incerta del Venezuela che verrà.

Volevo scrivere qualche considerazione su tutto questo, ma la verità è che non ho molte parole. Probabilmente devo ancora decifrare la situazione, la storia, il senso ultimo di quello che è stata l'esperienza neobolivarista di Chavez. Forse non ne so proprio molto. E nessuno forse ne sa molto, tranne chi l'ha vissuta dalla parte del popolo e non del potere. 
Ma sento di potermi sbilanciare quantomeno in un pensiero semplice. Il Venezuela di Chavez rappresentava, come tante altre piccole grandi storie politiche, l'idea che si potesse spezzare il monopolio economio e culturale occidentale e statunitense. Non importa che il prezzo pagato per questa opposizione si stato quello di un paese mai veramente socialista, mai veramente egualitario, trasparente, giusto. O meglio: importa, ma non al punto tale da servire quale riconoscimento della bontà del modello di sviluppo liberista e neoliberista. Non a dimostrarci che la democrazia occidentale fa meno morti e rende più felici i suoi cittadini. Perché questa non è la verità. Perché non c'è una verità. 
Troppe contraddizioni e troppi abusi questo Chavez. Ma mai abbastanza per salvare la storia imperialista dei suo nemici, il loro sistema economico e sociale. Le loro anime consumiste e consumate. 
Io non voglio salvarlo, tantomeno lodarlo. Io voglio salvare l'idea... e rinnovarla. L'idea magari tradita dallo stesso ex presidente e dai suoi; condizionata dal difficile quadro della globalizzazione; offesa dal militarismo, dalla divisione dei posti di potere. Ma l'idea che, prima di passare alle mani di uomini che la interpretano nella contingenza, nasce nel cuore e della mente di altri uomini che semplicemente provano emozione e passione nel sognare un mondo diverso.
Ecco: l'idea di un mondo diverso; socialista senza riferimenti storici: aggettivo positivo incolore e sentimento di solidarietà e reciprocità. Questa idea sorpassa Chavez e non potrà mai essere spazzata via. 
I governi invece si che passano, che vengono cancellati. E quel che rimane di questo governo bolivarista, prima o poi, verrà cancellato del tutto. Non è un male: la gente ha bisogno di cambiare; di ripartire. Quello che, però, mi dispiace è che noi occidentali non abbiamo mai smesso di essere dei fondamentalisti culturali; che in queste ore stiamo tutti rincorrendo i nostri dizionari e le nostre enciclopedie per raccontare di quanto il Venezuela non fosse un paese "libero"; di quanto mancasse la "democrazia". Senza mai una volta accettare la possibiltà di declinare diversamente queste parole: libertà e democrazia. 
E certamente siamo liberi: di produrre, consumare, credere in un Dio (anche terrestre, razionale) e crepare. Ed abbiamo il potere di eleggere rappresentanti che non possono far altro che garantire che quel principio di libertà si riproduca all'infinito: farci produrre, farci consumare, farci credere in un Dio e lasciarci crepare. Ma allora... dovremmo forse dire che siamo vincolati dalla nostra stessa libertà alla più abberrante delle dittature: quella meccanica dei processi produttivi e di consumo finalizzati dell'arricchimento immorale ma legittimato. E vorremmo giudicare gli altri? Se ne abbiamo ancora facoltà, con tutta la nostra disinvolutura (che comincia a scricchiolare, forse), è perché le nazioni in cui viviamo controllano militarmente e finanziariamente il mondo per difendere questo sistema, concedendoci lo spazio per crederci nel giusto. Per affermare che "stiamo bene; il nostro sistema funziona". Per non far esplodere quelle contraddizioni che la notte addormentiamo con noi; e che ci confondono i sogni.

Soffia il vento dal Venezuela stanotte: un'altra storia di minoranza, di contrarietà, di opposizione ha le ore contate. Ma suona alle nostre finestre la voce mai spenta del socialismo, di un mondo più giusto che forse non verrà mai, ma vivrà per sempre nei tentativi e nei fallimenti delle donne e degli uomini che hanno saputo scegliere la strada più difficile.