domenica 18 maggio 2014

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Io non so esattamente dove sto conducendo questa vita mia, so che ho il mio passo, i miei due occhi, e lo strapiombo dietro di essi. Io so che mi volto, e per tutta la vita mi volterò.


Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case e colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

E. Montale

giovedì 15 maggio 2014

cdt

"[...] ...No, è impossibile; è impossibile comunicare la viva sensazione di una data epoca della propria esistenza - ciò che ne costituisce la realtà, il significato vero - la sottile e penetrante essenza. E' impossibile. Viviamo come sogniamo - soli...".

J. C.

venerdì 9 maggio 2014

Il mio Peppino

Ho sempre creduto che Peppino impastato fosse una persona buona e leale. In realtà non so se lo fu davvero, o se si trattò invece di uno stronzo capace di quella spietata cattiveria umana che contesto da sempre, anche a me stesso. Ma la lealtà, almeno quella, è una cosa che non snatura l'uomo; quindi non vorrei stupirmi nel trovarne qualche caso. 
Ad ogni modo... Peppino. Dicevo: non so che uomo fosse davvero, perché qui interviene sempre il romanzo, la narrazione romanzata, e ci nega una parte della storia, una storia, una delle storie possibili; e ovviamente intervengono la politica e gli ideali. Eppure mi basta sapere che ogni qual volta noi riconosciamo la necessità di darci un riferimento, di trovare un eroe, lo eleviamo così tanto, tutti insieme, da farne scomparire le macchie della fragile umanità. Voglio dire, lo facciamo sempre perché riconosciamo i nostri limiti. In lui, in loro (gli eroi), noi tutti ci purifichiamo e possiamo sognarci trascendenti, leggeri, oltrenoistessi. Tutti, insomma, abbiamo bisogno di credere che esista un bene più grande, qualcosa di migliore di noi. E ben venga, soprattutto se si unisce questo alle scelte politiche. 

Giuseppe Impastato io lo figurerò sempre come un buono, e subito dopo come una comunista, e ancora... come un ragazzo che si è fatto ammazzare due volte: dallo Stato e dalla Mafia. 

Ma scusatemi - e tu Peppino... se sei tra le cose, nell'aria, sulle stelle o tra la terra che calpesto... perdonami altrettanto - io ho e avrò sempre bisogno, più di ogni altra cosa, di pensarti come una persona dalle virtù umane più spiccate di quelle politiche. Ovunque tu sia vorrei dirti che da te avevo imparato, forse con un eccesso di idealismo, che si doveva essere socialisti o comunisti per essere persone migliori, per impegnarci a ricercare virtù che sfidassero i vizi antichissimi delle subalternità tra gli uomini e della legge di forza. E anche se non fosse mai stata questa la lezione, a me piacerà pensarla così, ancora. 

Per la tua vita politica e per la tua morte umana si spendono sempre tante parole, a volte purtroppo a caso, male. Nessuno invece si impegna nella narrazione della tua vita umana e della tua morte politica, credo di capirne le ragioni. Io ho voluto dedicarti un pensiero tutto mio, certamente stonato, certamente poco definito, probabilmente senza troppa consistenza... però mio. 

Per adesso può bastare. 

Ciao Peppino. 

Sebastian Recupero

mercoledì 7 maggio 2014

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Non esiste qualcosa da fare o dire che sia giusta in assoluto; piuttosto esistono tempi, situazioni e persone giuste per fare o dire qualcosa. Così la penso io. 

Dunque, tra questi miei appunti pubblici, che lascio a qualche lettore perditempo delle mie cazzate, devo annotare la necessità che ho di non insistere a tenermi invischiato in un progetto nel quale non mi trovo più a mio agio. Non è la prima volta che me ne accorgo, non è la prima volta che mi rimetto in strada. Ho sbagliato tutte quelle volte nelle quali ho creduto di poter tornare; in realtà, lo devo spiegare, un progetto comune prevede una comunione di sentimenti, di lealtà, di fiducia, di stima, di reciprocità in generale. Io non provo e non trovo nulla di tutto questo, non più. Ne deduco la semplice constatazione che non è il tempo, non è la situazione e non ci sono persone giuste per fare o dire qualcosa. 
Ricordo altre esperienze, che anche se concluse sempre catastroficamente, furono vissute con altri presupposti: era il tempo giusto, erano le persone giuste. C'era lo spirito giusto. 
Ricordo poi anche altre esperienze come quest'ultima che mi è capitata, e ricordo che semplicemente evitai di scriverne. 

Ora, non mi resta solo che dire queste cose nel luogo giusto e al momento giusto. Domani.

Userò le mie energie, ancora una volta, per fare cose in cui credo, cose che credo più pulite di questo disastro umano, delle nostre ipocrisie. Ho la forza - e troverò ancora gente disposta a unire la propria alla mia - per esiliarmi da questo assurdo mondo ipocrita e ricostruirne uno mio, nostro, ideale, utopico... che viva attraverso le nostre connessioni sentimentali. Avrò la forza di essere migliore, di tentare qualcosa di diverso, di abiurare me ancora, di pentirmi sempre della mia miseria per costruire una bellezza ideale, senza guerre, senza le vere guerre. Se non farò questo, e se non lo farò assieme a gente con cui stringere un'alleanza sincera, la mia vita non varrà un cazzo. E per fare questo non avrò necessità di essere investito di un ruolo salvifico o eroico. Sarà quando sarà, senza chiederci perché.


domenica 4 maggio 2014

Comunque

Mi ricordo. Mi ricordo l'ultima volta che facemmo all'amore. 
Una sera scritta con la penna senza più inchiostro, a tratti scomposti, ricalcati, a vuoto. I corpi nostri come quel tratto di penna: sesso, lasciato svuotare senza che nessuno di noi due avesse febbre di rigenerarsi. Noi, che non fummo mai la "bic", la penna usa e getta, ma sempre stilografica da amare, erotizzare, sessuare, da far figliare.
Una pagina bianca mancata, quella volta lì; eppure densa. 
Mi ricordo ancora quella sera con le risate della stanchezza, con le pene dell'incomprensione.
Spogliarmi non è mai stato così ridicolo: un buco alla calza del piede destro, due buchi alla maglietta sotto al maglione azzurro. E automatismi non di festa, ma di fine lavoro: come spogliarsi per l'ultima volta per gioco della divisa, quando il lavoro è già finito da un pezzo. I buchi quella sera si notavano tutti, rimanevano dentro di noi, ci davano già la sensazione di quanto stesse accadendo: un deterioramento cercato e trovato nella luce piena di un calorifero, quando il calore nostro lo avevamo scrollato di dosso già da un pezzo. Altre sere avevo indossato quella maglietta, altri buchi avevo trovato rientrando a casa tra le mie dita del piede; eppure non sentimmo mai il vento gelido che dal nord dei nostri cuori li attraversava.
Mi ricordo... le resistenze, la luce dal basso, la confusione. Mi ricordo la resa. Sapevamo il bicchiere scheggiato eppur vi brindavamo: più retorica della retorica arrivava la domanda: "e ora?". E ora brindiamo alla nostra imbecillità. Alle nostre fughe. Al nostro amarci e desiderare che l'amore non esista; che non esistano catene, che non esista la comprensione. E ora, ancora una volta, perdiamoci, questa volta per sempre, in qualche modo; diversamente.
Amare è costruirsi un riparo dal mondo, perfino dal leninismo o dal libertarismo che abbiamo predicato senza coerenza... perché non esistono in maniera assoluta dei mondi pubblici che possano essere giusti.  Amare un'altra persona, tenersi per mano è l'unico moto di Rivoluzione.
Amare e amaro sono parole non molto dissimili, chissà perché. E di certo non l'ho scritto solo io adesso, e mi par più banale di quanto non sia. Amaro fu il miele di luglio, scrissi; amara la paura di resistersi oltre quel miele.

Ricordo le coperte di cui non avemmo bisogno mai, fuorché quell'ultima volta: come coprirsi nelle notti fredde di una stanza piena di estranei; e ancora... come svolgere le prove di una casa il giorno prima del trasloco. 
Ricordo quelle coperte, rubate ad un'altra storia, come un segnale di stanchezza; e va da sé.

Una notte sbagliata, delle mille che sbagliammo: senza fiori, senza poesie, senza tetto, in una stanza di una casa che non esiste o che forse esistette troppo male per poter avere ancora una finestra sul nostro mondo, sulla nostra salvezza, per come l'avevamo saputa generare. 

[Del bene non si parla mai, perché il bene non fa rumore].

Così, nelle altre notti senza amore, nel ripensare alla miseria delle vite spese nel troppo commercio con gli altri, all'edonismo che manca di eros, di impegno e di sogno, con l'incapacità mia di tornare indietro rispetto alla qualità della vita scelta ed in parte goduta, sono qui; e mi fermo a scrivere. E scrivendo ancora amo, per l'eternità; senza buchi alle dita dei piedi e nel mio mondo senza macchie nei dintorni dell'anima. 


Dove è il silenzio.