lunedì 25 febbraio 2013

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 "CRETINISMO PARLAMENTARE:

infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l'onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, - guerre, rivoluzioni, costruzioni di ferrovie, colonizzazione di interi nuovi continenti, scoperta dell'oro di California, canali dell'America centrale, eserciti russi, e tutto quanto ancora può in qualsiasi modo pretendere di esercitare un'influenza sui destini dell'umanità,- non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all'importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l'attenzione dell'onorevole loro assemblea".
Friedrich Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, 27 luglio 1852

Sul parlamentarismo, anche senza attualizzare troppo, potremmo percorrere due vie. La prima è una critica verso la fiducia totale che viene riposta nell'istituto in oggetto, la quale offusca l'orizzonte più concreto della politica e dell'azione politica, senza però inibire la legittimità e l'utilità di operare anche sul fronte elettorale; la seconda è che tale istituto allontana matematicamente dagli altri orizzonti dell'azione politica - finendo per fagocitare anche l'azione esterna - e che quindi debba essere delegittimato. 
Io ho scelto la seconda; ma ritengo comunque accettabile la scelta di chi vuole, ancora una volta, partecipare al voto in buona fede e con propositi seriamente riformistici. Tuttavia non posso nascondere la mia riluttanza per questo meccanismo falsamente rappresentativo e falsamente democratico; ed infatti non l'ho mai fatto. Per me chi vota con una coscienza politica profonda o con un trasporto ideale intenso - anche se per me mal spesi - non è cretino. Cretino è, semmai, chi vota perché "difende il diritto al voto duramente conquistato" e basta (odio questa cazzo di retorica borghese sulle conquiste); oppure chi vota perché crede che la politica si giochi tutta lì; o ancora chi vota perché si lascia trasportare dagli altri, mentre non risponde ad alcun senso di partecipazione profondo.

Colgo l'occasione per ribadire la mia proposta: la costruzione (parallela allo Stato) di un movimento-apparato dei popoli, a livello internazionale ma che parta dai territori, volto a delegittimare le istituzioni e gli istituti tradizionali, al fine di riacquistare la sovranità ceduta alle leggi di mercato. Allo stesso tempo, però, questa organizzazione deve concordare un disegno, solido, della politica internazionale da realizzare, opposto a quello che ci portiamo dietro almeno da cinque secoli. Detta così sembra difficile. Ed in effetti lo è! Ma adesso è il tempo di decidere se vogliamo davvero cambiare qualcosa - ed allora bisognerà fare qualche sforzo! - oppure se fermarci al livello del microconflitto e della retorica ancora a lungo.

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