"Senza il libro del viaggio si affumicavano i pensieri: è arrivato il
conto, è un foglio di via, urgente come un “vattene”, cosa vuoi da città
e ragazza, te ne sei andato a smaltire lontano il tempo migliore, qui
nessuno ti conosce e nessuno ti può riassumere gli anni mancati. Cosa
vieni a fermarti nella città spalata e ammucchiata, dove basta uno
scirocco a staccare tegole, cornicioni, intonaci? Non è posto da nozze.
La ragazza ha da sporgersi sopra l’avvenire come sopra un balcone di
montagna, tu le puoi offrire un vicolo. Che ti ami non basta ad arrivare
al giorno dopo, e che tu l’ami: grazie, lei è la festa, la fortuna, il
tuo posto, tu sei il dente estratto da mascella che ritrova il punto di
partenza nel cavo del suo abbraccio. Lei è il tuo posto, ma tu non sei
il suo. [...]
La cucina è spenta, non preparo la cena, non
apparecchio i piatti, niente vino. Siedo con il foglio del conto aperto e
aspetto. Lei ritorna, saluta, vede e si mette a sedere. Quanto siamo
rimasti zitti, poi che parole mandate allo sbaraglio nel campo dei
centimetri che le nostre mani non potevano attraversare: ho scordato.
Deve avermi detto di non fare così, ma io non so più di che materia
fosse quel così, se bruciava o era spento.
Ora che è vita andata, recito l’atto di dolore: mi pento e mi dolgo, mi
dolgo e mi pento di averle presentato il conto. La presunzione di avere
diritto mi gonfiava la vena della fronte. Avanzavo il mio rauco reclamo e
più sacrosanto era, più era goffo: le chiedevo il conto, e mai si deve
tra chi sta in amore. Non esiste il tradito, il traditore, il giusto e
l’empio, esiste l’amore finché dura e la città finché non crolla. Poi
esistono i bagagli e si ritorna profughi, senza la giustifica della
maledizione di una guerra, senza una malasorte da spartire con altri. Di
quel conto tutto era stato già pagato e il saldo era che bisognava
alzarsi di sedia, di stanza e di città".
E.D.
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