Ieri il Papa, Francesco I, si trovava a Lampedusa.
La ricerca simbolica di luogi, mezzi ed azioni per fare rivivere il tema della fratellanza universale e della carità, nell'ambito del nuovo corso da ONG che la Chiesa romana vuole darsi per rimanere in vita in questa fase di interregno politico, mi sembra segnare un successo di grande importanza per l'organizzazione e la politica vaticana. Un successo della Chiesa senza Palazzo, ovviamente. Mentre il palazzo brucia o si rimpie di muffe.
Trovo questo pontefice particolarmente interessato alla trattazione sociologica e politica, al contrario del suo predecessore, impegnato nella dottrina, nella teologia e nella gestione degli equilibri organizzativi. Ed in particolare di Francesco colpisce il richiamo alla "globalizzazione dell'indifferenza". Così si è espresso proprio ieri, a proposito della nostra relazione con l'Altro versione "straniero", nel ricordo delle vittime di povertà, insoddisfazione e sofferenza che tentano, spesso pagando con la propria vita, di approdare ad un mondo più confortevole: il nostro. Quindi io direi - ma non so il Papa - di quei "sottoconsumatori" con accessori determinati: differenza, intraducibilità ma anche fascinazione, inesperienza, sogni palsmati sul nostro modello e democraticamente venduti.
Oggi tutti i giornali fanno richiamo a quell'espressione usata dal pontefice. E Giuliano Ferrara ci dedica maggiore attenzione, scrivendo con cortesia a sua santità che forse, involontariamente, ha usato il termine sbagliato: perché la globalizzazione - dice l'Elefantino-puttana - è l'antidoto all'indifferenza. Ed in qualche modo ha pure ragione, non sapendo, come al solito, quello che dice.
Oggi tutti i giornali fanno richiamo a quell'espressione usata dal pontefice. E Giuliano Ferrara ci dedica maggiore attenzione, scrivendo con cortesia a sua santità che forse, involontariamente, ha usato il termine sbagliato: perché la globalizzazione - dice l'Elefantino-puttana - è l'antidoto all'indifferenza. Ed in qualche modo ha pure ragione, non sapendo, come al solito, quello che dice.
Ad ogni modo, per quanto possa sociologizzarsi l'esperienza politica del Vaticano, non ci siamo ancora: Francesco dovrebbe sapere che da tempo si è cercato di definire la globalizzazione come "processo di mondializzazione di pratiche legate ad un modello politico particolare, quello capitalistico". L'indifferenza è già insita in questo processo, per altro con un significato diverso da quello che sembra voler comunicare lui. Essa si è accresciuta nel corso degli ultimi 30 anni proprio per l'aumento delle differenziazioni e poi per il crollo del significato dei confini, dell'idea di nazione, della cittadinanza nazionale, ma anche della comunità in generale; crolli dovuti principalmente alla globalizzazione, che ha avuto come conseguenza il comportamento tipico della "fortezza assediata", cioè di chi crea o marca le differenze. Una sorta di unione intesa a trovare qualche forma di certezza in una società ormai liquida, incerta, individualizzata, post-materiale. Tentativo piuttosto risibile, vaquo. Resistenza comprensibile storicamente ma destinata a breve vita. Adesso che ci si mette pure il Papa poi...
Il Papa che comunque non la dice tutta, o, peggio, la dice male: "globalizzazione dell'indifferenza": posto che abbiamo una linea guida interpretativa sul significato di globalizzazione, dobbiamo chiederci cosa sia questa indifferenza: in-differentia, senza differenze. Quindi un comportamento che non opera preferenze, non giudica o non riconosce le differenze, il quale, certamente, finisce con l'avere delle conseguenze politiche.
Supponendo che Francesco volesse usare l'espressione "mondializzazione" o molto più banalmente "diffusione mondiale sistematica" invece che l'inappropriato "globalizzazione", vorrebbe dire che si è compiuto un processo mondiale di annullamento delle differenze, o di mancato riconoscimento delle differenze. Questo fenomeno se è vero, è vero all'interno. Ma esiste ancora un esterno. Quindi non è quello il problema: semmai quel che ci interessa è che all'interno si è compiuto un processo di esplosione delle differenze, un loro aumento numerico esponenziale ed una maggiore esposizione ed accettazione che conduce, secondo la logica seguita da Jean Baudrillard, all'indifferenza; cosa che ha portato ciascun individuo, a causa dalla globalizzazione capitalistica, a sentirsi più incerto (in mezzo ad una moltitudine di modelli, e con l'obiettivo assegnato dal sistema, cioè autoattribuirsi un ruolo in società, farsi da sé, differenziarsi) e ha consentito agli Stati - pur di continuare ad avere un ruolo nell'ipermodernità - di marcare alcune differenze in difesa degli individui, all'esterno. Una "ri-differenziazione", insomma.
E nemmeno se si stesse parlando di indifferenza nei confronti delle sorti di queste persone potrei trovarmi in accordo: c'è la nascosta, più o meno velata, alle volte evidente volontà degli abitanti assediati di sbarazzarsi in tutti i modi possibili degli assedianti, unici nemici con cui prendersela... perché umani. Il capitalismo invece è un misto di idee, sentimenti, numeri... è astratto: molto più difficile opporvisi.
Anche qui, dunque, non c'è indifferenza... per le sorti degli altri, non potendosi ritenere sufficiente la mancata determinazione o conoscenza delle conseguenze concrete del respingimento o della mancata accoglienza o del tentativo di fuga di ogni singolo immigrato per poter dire che si è indifferenti.
E nemmeno se si stesse parlando di indifferenza nei confronti delle sorti di queste persone potrei trovarmi in accordo: c'è la nascosta, più o meno velata, alle volte evidente volontà degli abitanti assediati di sbarazzarsi in tutti i modi possibili degli assedianti, unici nemici con cui prendersela... perché umani. Il capitalismo invece è un misto di idee, sentimenti, numeri... è astratto: molto più difficile opporvisi.
Anche qui, dunque, non c'è indifferenza... per le sorti degli altri, non potendosi ritenere sufficiente la mancata determinazione o conoscenza delle conseguenze concrete del respingimento o della mancata accoglienza o del tentativo di fuga di ogni singolo immigrato per poter dire che si è indifferenti.
Ora, io direi così: siamo innanzi a trasformazioni sociali, favorite dalla globalizzazione del capitalismo, che hanno condotto a reazioni naturali del tessuto sociale ancora sottoposto alle categorie ideali della modernità che stanno per esaurirsi; queste reazioni, come la ricerca di nuove differenze, sono diretta conseguenza della individualizzazione, della proclamazione della presunta libertà di scelta dell'uomo-consumatore in luogo della responsabilità sociale e della lotta per l'autonomia, istanza non più opponibile.
Direi che siamo semplicemente in piena globalizzazione, con tutte le sue conseguenze, e con l'aggravante che la tecnologia rende più veloce ed efficace, da un lato il processo di fascinazione nel confronti della società dei consumi da parte dei migranti di oggi, dall'altro l'impoverimento materiale e culturale delle terre di origine.
Ma anche qui ci troviamo di fronte ad una rottura: probabilmente l'esplosione del mondo occidentale - per adesso solo ritardata - produrrà fenomeni di globalizzazione totalmente differenti, ed un mescolamento non più unidirezionale periferia->centro, ma la creazione di centri e periferie diffuse, o forse solo un più ristretto centro ed una periferia globale. Però credo sia presto per parlarne, e sono certo di non avere gli strumenti necessari per farlo.
Per tornare al Papa, mi pare che il Corsera abbia tradotto pressapoco "no alla globalizzazione dell'odio". Espressione certamente più felice, almeno da una parte: perché l'odio, generalizzato, ha il pregio di essere espressione che si presta a meno equivoci, anche se non del tutto condivisibile. E tuttavia... odio nell'ambito della globalizzazione, non come suo oggetto.
Da Francesco mi aspetterei un no alla globalizzazione capitalistica, insomma. Ma come dimenticarci che lui, di lingua spagnola, argentino per mano dei conquistadores, è uno dei principali esempi della globalizzazione e che la Chiesa ne è addirittura uno dei principali protagonisti? L'evangelizzazione compiuta nel XVI sec. nel Sud America, è un fenomeno conciliabile e riconducibile alla diffusione del capitalismo. D'altronde i conquistadores oltre che servire Dio, avevano dichiarate intenzioni di arricchimento.
Ma aspetto la prossima puntata del Papa versione "social" per capire che piega sta prendendo la caduta della Chiesa come istituto secolare e modernizzato.
Da Francesco mi aspetterei un no alla globalizzazione capitalistica, insomma. Ma come dimenticarci che lui, di lingua spagnola, argentino per mano dei conquistadores, è uno dei principali esempi della globalizzazione e che la Chiesa ne è addirittura uno dei principali protagonisti? L'evangelizzazione compiuta nel XVI sec. nel Sud America, è un fenomeno conciliabile e riconducibile alla diffusione del capitalismo. D'altronde i conquistadores oltre che servire Dio, avevano dichiarate intenzioni di arricchimento.
Ma aspetto la prossima puntata del Papa versione "social" per capire che piega sta prendendo la caduta della Chiesa come istituto secolare e modernizzato.
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