lunedì 14 gennaio 2013
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Non ho forse avuto una volta una giovinezza bella, eroica, favolosa, da scrivere - troppa grazia! - su fogli d'oro?
Per colpa di quale delitto, di quale errore, mi sono meritato la mia attuale debolezza?
Voi che pretendete che le bestie singhiozzino di dolore, che gli ammalati disperino, che i morti facciano brutti sogni, cercate di raccontare la mia caduta e il mio letargo.
Io non posso spiegarmi meglio del mendicante con i suoi continui Pater e Ave Maria. Io non so più parlare!
Eppure, oggi, credo di aver finito il resoconto del mio inferno.
Era davvero l'inferno; quello antico, di cui il figlio dell'uomo aprì le porte.
Nello stesso deserto, la stessa notte, sempre i miei occhi stanchi si risvegliano alla stella d'argento, sempre, senza che si commuovano i Re della vita, i tre magi, il cuore, l'anima, lo spirito.
Quando andremo, oltre le spiaggie e le montagne, a salutare la nascita del lavoro nuovo, la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni,
la fine della superstizione, ad adorare, - per primi! - il Natale sulla terra?
Il canto dei cieli, la marcia dei popoli!
Schiavi, non malediciamo la vita!
Arthur Rimbaud,
Una Stagione All'Inferno.
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