mercoledì 25 gennaio 2012

cominciamo da qui.



Patti o la Sicilia non sono luoghi scollegati dal mondo. Un cambiamento vero si fa pensando prima di tutto a queste cose. Se saremo disposti a rinunciare a quelle che per noi sono delle certezze, per altro false, potremo fare qualcosa. Da qui dobbiamo cominciare. E dobbiamo avere CORAGGIO.
CORAGGIO.

lunedì 16 gennaio 2012

Inquietudine siciliana

Inquietudine. Le ore che passano portano dentro di me, lentamente, l'affermazione di una nuova consapevolezza: il non sapere più cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Tutte le più grandi rivoluzioni della storia, mi dico, si sono fatte stimolando la pancia delle masse.. ed anche stavolta potrebbe essere così. Probabilmente, penso, potrebbe anche non essere un male, visto che quelle intellettuali non funzionano quasi mai. Devo tuttavia dichiare la mia inquietudine odierna a fronte della lettura dei fatti di questi ultimi anni. La crisi economica - crisi sistemica del capitalismo-imperialismo (punto e basta) - ha provveduto a stimolare molto la partecipazione politica o pseudo tale e comunque a rendere partecipi (mobilitare) un numero sempre maggiore di persone. L'ausilio di milioni di fonti di informazione dette "libere" non ha tuttavia consentito l'affermersi una coscienza razionale. Tantomeno s'è affermata una responsabilità politica soggettiva. L'unica cosa che pare aver avuto stimolo è stata l'umana capacita di odiare e perseguire "lo straniero", quello che opera all'insaputa e alle spalle del cittadino.

[Con la convinzione di dire nulla di giusto né nulla di sbagliato]
La ricostruizione dei fatti potrebbe essere questa: crisi provocata dall'esplosione della speculazione finanziaria e dalla debolezza dell'economia reale rispetto alla finanza; crisi probabilmente favorita da soggetti sovranazionali poco esposti; rivolte in mezzo mondo e nessun cambiamento del sistema, ma solo il cambiamento delle nomenclature; governi tecnici che vogliono salvare il sistema economico e stringono sulle tasse; standby della democrazia parlamentare; pretesto dello standby della democrazia parlamentare; rivolte contro governi tecnici che chiedono sacrifici senza far pagare alla politica e alle banche; lotta contro i privilegi dei politici; rifiuto a riconoscere il debito pubblico da parte dei cittadini; rifiuto a pagare le tasse sovraccaricate di interessi; mobilitazioni contro lo stato e le istituzioni, volute da gruppi che comunque hanno delle idee proprie; censura - foss'anche temporanea - nell'informazione.

Ecco, seppur forte è in me la tentazione di desiderare un declino delle istituzioni democratiche e del sistema partitico così come del potere finanziario (cosa, quest'ultima, in vero più difficile, e forse solo pretestuosa al momento), con la cancellazione totale di tutto quello che abbiamo conosciuto dalla fine dell'800 ad oggi, è pure vero che nell'assenza di "responsabilità" individuale nei confronti nell'organizzazione sociale si rischia di peggiorare la situazione. Avrei infatti auspicato un maggior fervore dei cittadini contro l'accumulo dei capitali da parte di pochi cittadini (tra i quali anche di furbi e privilegiati) ma certamente anche da categorie sociali che sono divenute importanti attraverso l'intellettualizzazione del lavoro e la burocratizzazione della vita sociale. Se fossi ricco e avessi accumulato un capitale ingente con il mio lavoro, mi lamenterei se me lo volessero togliere, dal momento che quello è, diciamo, frutto del mio lavoro e del mio ingegno; se fossi povero mi lamenterei se lo Stato mi costringesse a pagare ancora più tasse, atteso che già non riesco a pagare quelle che solitamente si pagano; oppure se fossi povero mi dovrei lamentare con i ricchi per aver loro incamerato parte di quella ricchezza che non può esser una cosa personale ma che è di tutti e che quindi è sotratta anche a me. I ricchi, che siano favoriti o meno dagli Stati o no, esistono, come esistono i poveri. Purtroppo questa odiosa distinzione continua anch'essa ad esistere. Ma i poveri non ce l'hanno con i ricchi, perché è solo un caso se anche loro non sono ricchi e perché, in fine, l'ambizione ultima è essere anch'essi ricchi. E i ricchi non ce l'hanno con i poveri, perché se non fossero poveri loro non sarebbero ricchi. Però le due categorie combattono entrambe contro lo stesso straniero, lo Stato, senza accorgersi che così combattono tra loro trovando un alibi.

I politici di oggi e le banche non sono che mediatori del sistema capitalistico della ricchezza che si esplica nella capacità di consumo e nella possibilità di dimostare a se stesso di essere, rispetto ad un altro, qualcosa di "più". Posso anche affermare che i politici sono solo un'altra categoria sociale, che da fortissima (quando il popolo è calmo e gode dl'equilibrio che gli è garantito, anche se le cose vanno male lo stesso) può divenire debolissima (quando per la politica è ormai difficile gestire gli equilibri e le masse si muovono): non è poi vero che chi ha il parente politico lo difende adducendo dell motivazioni convinceti? così come chi ha il parente banchiere, o medico, o dipendente della pubblica amministrazione, o commerciante... difende la categoria? Ma per evitare in fine che la colpa non sia di nessuno ce la si prende con quelli che sono più esposti e meno difendibili perché meno presenti nelle famiglie, cioé i politici. Questi politici, però, sono un'altra categoria di ricchi che fanno il loro lavoro (che gli consente di essere ricchi) e ne approfittano, se ne possono approfittare, come molti altri soggetti sociali (attenzione, non li giustifico: li spiego); d'altronde è solo un caso se noi stessi non siamo politici, ma è parimenti un caso se non apparteniamo ad un'altra categoria di ricchi.
Voglio dire, e forse ho trovato il modo peggiore di esprimermi, che forse il problema è più complesso di quanto appare e che per quanto le speculazioni e i privilegi della politica o delle banche come categorie ci sembrano la massima espressione dei mali del mondo, io vi dico che non è così: vi dico che i mali sono spesso nell'uomo stesso, nella sua natura e quindi in una delle proiezioni più splendide di questa natura, cioè il capitalismo. E non tanto in quello pratico, materiale che c'è o che ci potrebbe essere, ma in quello che ci entra nel cuore e nel cervello.
Certo, a fronte di questa mia testi, se fosse sensata, non aiuterebbero i partiti politici, nemmeno quelli più nuovi e splendenti, almeno finché continueranno ad avere la struttura e la natura oligarchica che hanno mantenuto fino ad oggi. Io li ho vissuti, e ad un certo punto, è stato disarmante. Per altro essi, impantanati nella democrazia liberale ed in una economia liberista richiesta dalle istituzioni democratiche e dalle organizzazioni internazionali, vivono l'empasse delle loro contraddizioni.
Dall'altro lato mi spaventa uno scivolamento fuori da queste istituzioni, senza l'abbandono del capitalismo: è uno scivolamento che si risolve nella prvalenza ultima della prevaricazione e dell'assoggettamento dei singoli utile al fine di salvare di nuovo i difetti umani e lo stesso capitalismo in forme nuove. Così fu con il fascismo.

In Sicilia, il nemico comune (lo straniero) contro cui ricchi e poveri si scagliano ancora più che la politica è lo Stato. Esso (certo non solo in Sicilia o al sud, ma qui in modo particolare) è considerato come entità che bisogna "fottere", quasi sconfiggere. Ora, al di là del fatto che siamo stati ingannnevolmente coinvolti in questa cosa che si chiama Italia, senza mai essere divenuti veramente italiani, e che quindi le politiche condotte fino ad oggi sono state finalizzate alla conservazione delle élites siciliane al fine di fare far progredire la marcia unitaria, e innescando un circolo vizioso fatto di corruzione, assistenzialismo, sottosviluppo (tutto ineludibilmente collegato), ecco, al di là di tutto ciò non si può non affermare almeno un paio di errori del popolo siciliano. Per cominciare direi che la storia è sempre stata fatta di annessioni e operazioni antidemocratiche, ed è inutile piangerne ancora: si potrebbe adare avanti e pretendere singolarmente, con le proprie azioni, che lo Stato sia, anzi, più presente. (non meno, come si è sempre voluto). Putroppo capisco che per come i fatti sono storicamente imposti è difficile. Questi errori, che rischiano di essere tristemente reiterati, cominciano con la mancata ammissione di un sistema di corruzione e pensiero mafioso diffuso, del quale tutti noi abbiamo giovato, e che le nostre famiglie con il loro assenso hanno contribuito costantemente a rigenerare. Forse, certo, sarebbe stato poco conveniente rompere gli equilibri di un sistema corrotto ma che garantiva tutti, nell'assenza di un diritto uniforme e costante; però perchè adesso le rivoluzioni sono rivolte astrattamente solo contro le responsabilità degli altri? A questo punto, prima di riflettere ulteriormente su un tema la quale trattazione, così, è piuttosto incompleta, e che lascierò ad un momento successivo, mi sento di dover aggiungere che viste le proposte degli ultimi tempi, non sarà la rivoluzione autonomista la strada che oggi può salvare un popolo. Insomma, l'autonomia nazionale siciliana non mi sembra un grosso mezzo per scappare alla crisi sistemica del capitalismo, visto che i cuori e le menti di molti siciliani (così come di tutti i cittadini del mondo) sono ancora avvelenati o comunque infetti delle idee figlie di questo capitalismo e cioè del consumismo e dell'ostentazione della ricchezza come mezzo distintivo per l'affermazione egoistica sugli altri.
Per quanto mi riguarda, lo Stato in sé non è necessariamente il nemico: ad essere tale è lo Stato capitalista.

Ora, nell'affermare che la teoria filosofica deve rimanere forte... per evitare che il qualunqusmo ci precipiti in strade buie e tristemente note (di cui sto per accennare), bisogna dire adesso qualcosa sul "movimento dei forconi". Mi sembra che questo movimento porti in dote l'esigenza di una fuoriuscita dall'ordine costituito, che, stando alla storia, ad un certo punto è proprio necessaria; tuttavia mi pare adduca una scarsissima lungimiranza sociale. I contenuti sui quali si batte, per altro, sono sconnessi e dettati dall'emozione, dall'interesse materiale diettamente percepibile. Le masse che si stanno mobilitando non sono molto coscienti del fatto che per anni ed anni hanno loro stessi dato avallo alla corruzione e alla mala politica e che nel frattempo così potevano fare piccole illegalità senza essere disturbati (o dover temere veramente qualcosa), e che il problema lo stanno avvisando solo ora perché la politica non riesce più a reggere l'equilibrico che precedentemente andava bene a tutti, anche se tutti sapevano [mi dico: è normale che vada così ed in fondo potrebbe essere l'unica soluzione]. Ma dopo, che ci sarà? Se sti benedetti forconi fanno la rivoluzione siciliana [e forse stasera ed a quest'ora aspico già che non siano loro a farla] ...dopo che organizzazione sociale sceglieranno? e la legalità cosa sarà? e il sistema economico come funzionerà? Certo non potranno poi dire le stesse parole di oggi per additarle contro il nemico: benzina, tasse, agenzia delle entrate, statuto speciale, e farneticazioni poco brillanti sull'agricoltura (che evidentemente non tengono conto delle dinamiche mondiali). Forse è sbagliato domandarselo, tuttavia sono inquieto proprio per questo motivo.

E ancora la mia inquietudine si manifesta nella consapevolezza che dietro ad ogni movimento c'è la mano di qualcuno che è stato più bravo degli altri e ha trovato il momento giusto e le condizioni per mobilitare le masse. E questo qualcuno difficilmente si astiene dal far prevalere la propria idea. E i leader di questi movimenti o di questo movimento...sono noti per essere ideologi e fanatici post-fascisti. Ma oggi tutti a pubblicare il link dei forconi su facebook: io che credo me stesso un rivoluzionario non ho saputo far altro che difenderli e a metà condannarli in una discussione della quale subito dopo non ero più contento. Ma non sono nemmeno preso dalla rivoluzione, che non sento. E non credo. E forse per esser un rivoluzionario vero bisogna farsi trasportare dagli eventi, sennò si è solo rivoluzionari sulla carta. Ma allora, se avrò sempre bisogno di tempo per carpirla e in fine se non mi andrà questa specie di rivoluzione, allora si: preferisco la carta.
La deriva delle nuove forme di fascismo e di autoriarismo è un pericolo grossissimo per la vita del'umanità intera: la risposta alla crisi non dovrà mai essere questa. Lo dico ai "forconisti" inconsapevoli e a quelli fiduciosi di cambiare davvero qualcosa: il vostro disinteresse verso quella che sarà l'organizzazione sociale di domani e il fatto che se ne interessino altri per voi, porterà, quando sarete impreparati e vittoriosi, all'annientamento della libertà.
Ma spero che non sia così. Spero di svegliarmi e vedere un popolo unito contro tutti i veri mali del mondo, a partire da se stesso.


Sebastian Recupero