martedì 26 febbraio 2013

lunedì 25 febbraio 2013

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 "CRETINISMO PARLAMENTARE:

infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l'onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, - guerre, rivoluzioni, costruzioni di ferrovie, colonizzazione di interi nuovi continenti, scoperta dell'oro di California, canali dell'America centrale, eserciti russi, e tutto quanto ancora può in qualsiasi modo pretendere di esercitare un'influenza sui destini dell'umanità,- non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all'importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l'attenzione dell'onorevole loro assemblea".
Friedrich Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, 27 luglio 1852

Sul parlamentarismo, anche senza attualizzare troppo, potremmo percorrere due vie. La prima è una critica verso la fiducia totale che viene riposta nell'istituto in oggetto, la quale offusca l'orizzonte più concreto della politica e dell'azione politica, senza però inibire la legittimità e l'utilità di operare anche sul fronte elettorale; la seconda è che tale istituto allontana matematicamente dagli altri orizzonti dell'azione politica - finendo per fagocitare anche l'azione esterna - e che quindi debba essere delegittimato. 
Io ho scelto la seconda; ma ritengo comunque accettabile la scelta di chi vuole, ancora una volta, partecipare al voto in buona fede e con propositi seriamente riformistici. Tuttavia non posso nascondere la mia riluttanza per questo meccanismo falsamente rappresentativo e falsamente democratico; ed infatti non l'ho mai fatto. Per me chi vota con una coscienza politica profonda o con un trasporto ideale intenso - anche se per me mal spesi - non è cretino. Cretino è, semmai, chi vota perché "difende il diritto al voto duramente conquistato" e basta (odio questa cazzo di retorica borghese sulle conquiste); oppure chi vota perché crede che la politica si giochi tutta lì; o ancora chi vota perché si lascia trasportare dagli altri, mentre non risponde ad alcun senso di partecipazione profondo.

Colgo l'occasione per ribadire la mia proposta: la costruzione (parallela allo Stato) di un movimento-apparato dei popoli, a livello internazionale ma che parta dai territori, volto a delegittimare le istituzioni e gli istituti tradizionali, al fine di riacquistare la sovranità ceduta alle leggi di mercato. Allo stesso tempo, però, questa organizzazione deve concordare un disegno, solido, della politica internazionale da realizzare, opposto a quello che ci portiamo dietro almeno da cinque secoli. Detta così sembra difficile. Ed in effetti lo è! Ma adesso è il tempo di decidere se vogliamo davvero cambiare qualcosa - ed allora bisognerà fare qualche sforzo! - oppure se fermarci al livello del microconflitto e della retorica ancora a lungo.

giovedì 21 febbraio 2013

Dedicato

Dedicato a chi oggi pubblica scandalizzato la foto di Mauro Aquino insieme a Silvio Berlusconi, mentre alle scorse amministative s'è fatto i cazzi propri. E che anzi, a parte facebook, continua a farseli.
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"Un futuro che, torno a dire, deve essere inquadrato ideologicamente in modo più forte, anche in contrapposizione con i modelli di sviluppo, o con i metodi, che si sono predicati altrove. A questo proprosito, costruire una nuova identità della nostro comune partendo da quello che ci hanno lasciato i nostri avi, ci consentirà di trovare un equlibrio e uno stile di vita tutto nostro, particolare e anche affascinante. Affascinate perché la prospettiva da inseguire non dovrà essere l'omologazione ad altre città e ad altre realtà , ma la diversità.

Per questo, e per il fallimento del modello economico e culturale capitalistico, reputo delle idiozie le economie basate sul cemento fini a loro stesse; i centri commerciali che siano tempio del consumo e che, dopo aver ucciso la rete del micro commercio cittadino, andranno in fallimento; i porti che non si sa bene, al di là del solito discorso facilotto sulle isole eolie, chi debbano portare e perché; le carceri come fonte di economia per una città; e tutto quanto ci sia di affine.

Detto ciò, andiamo oltre. Tanto si sa che "sono lungo".
Voglio ripartire da questo assunto: Gullo e Venuto non sono il problema, ma la conseguenza del problema.
Quindi stiamo cercando qualcosa più profondo. Qualcosa che, in fine, ha a che vedere con la nostre virtù civiche. Infatti, se tutti noi cittadini pattesi fossimo dei virtuosi della civitas (e credessimo nelle istituzioni... che chiamiamo in causa solo per qualche danno che ne riceviamo) innazitutto non accetteremmo di essere pagati per votare questa o quella persona: è sintomo di subalternità ai gruppi di potere e non di furbizia. In oltre ci idigneremmo: perché la città è sporcata da concittadini incivili e le istituzioni non provvedono a redarguire nessuno; perché le nostre spiagge sono sporche; perché in mare ci finiscono fogne abusive; perché ci sono discariche nei nostri torrenti; perché al comune non ci forniscono i documenti che ci servono in tempi brevi; perché in Consiglio comunale ci vanno persone che a volte non capiscono nemmeno di cosa si parli o che non sono mai intervenute su nessun tema perchè incapaci e analfabeti; perché i beni pubblici di utilità e quelli artistici vengono abbandonati a loro stessi; perché forse esiste la possibilità di farsi annullare una contravvenzione; perché l'unico servizio sul quale si doveva spingere di più a Patti è il Liceo scientifico (mentre aumentava il suo numero di iscritti) e invece non si è fatto; perché si è costruito ovunque, e a dismisura, facendo gli interessi della massoneria e dei costruttori e deturpando irreversibilmente l'ambiente; perché c'è una cazzo di concattedrale verde a forma di pattumiera e nessuno sa a che cosa serve realmente; perché si conferiscono cittadinanze onorarie a volte in modo ambiguo e a volte senza cognizione di causa a personaggi dubbi o comunque irrilevanti per la città, i suoi sentimenti e la sua costruenda identità; perché un sindaco così...davvero non si può. E tante altre cose.
[...]
E poi però ci sono quelli che vogliono "cambiare": perché è giusto, perché "adesso basta", perché "non ficiuru nenti", perché si può fare questo, quello e quell'altro. Ma, nella sostanza, come intendono cambiare? Andando ancora una volta a portare il consenso ai sistemi di potere che hanno generato i mali della società odierna, in modo più o meno evidente?
"Cambiamo", dicono in molti: ma dovremmo cambiare davvero, non solo con le intenzioni e proponendo la nostra alterità come la cosa sicuramente migliore. La soluzione, a volte, rischia di essere peggiore del male. Noi rischiamo di essere peggiori di Gullo, se non ci decidiamo per un cambiamento complessivo nel metodo, nei contenuti di fondo (e non sono nelle applicazioni superficiali), nella direzione e anche nei nomi della gente con la quale si ha a che fare.

Io detesto chi è amico di tutti. Non si può essere amici di tutti. Figuartevi come detesti chi pensa che la politica sia univoca e che le azioni politiche possano essere condivise nello stesso modo da tutti. Non esiste una "politica del fare": è una finzione post-ideologica e berlusconiana. Esiste la politica. Punto.
Molti nuovi gruppi contro Gullo e Venuto parlano di clientelismo solo adesso (all'improvviso è il tema giusto per buttare giù dal cavallo quelli che per ora comandano) -  comunque dico "finalmente!"- e si adoperano nel citare quello che l'amministrazione poteva fare e non ha fatto. Ma cazzo, non basta.
Ma chi è il cambiamento? quelli che hanno la tessera dei partiti che hanno sperperato (e intascato) i soldi nell'ATO ME 2?
Quelli che hanno la tessera del partito che ha creato gli ATO?
Quelli che hanno la tessera di partito degli stessi politici che hanno piazzato i loro uomini negli ospedali?
Quelli che hanno la tessera del partito che ha distrutto questa regione e questa provincia?
Quelli che hanno la stessa tessera di partito di chi non ci hanno fatto realizzare il Liceo di Patti?
Quelli che hanno la tessera di partito dei mafiosi condannati a 7 anni per mafia?
Quelli che hanno la stessa tessera dei partiti che hanno fatto clientela e assistenzialismo con minor forza qui in città, ma con più forza negli altri enti e paesi?
Quelli che vi hanno fatto fare il corso di formazione, istituito ad hoc?
Quelli che organizzano le sagre e le feste per dare la parvenza di amare la città?
Quelli che vi volevano privatizzare la gestione del servizio idrico?!!
Quelli che sono inseriti nei sistemi di poteri a tutti i livelli?
Quelli che prima sono stati eletti per stare in un sistema di potere, con i metodi di chi è eletto per clientela, e poi fanno gli oppositori solo per divisioni interne??

Questo è il cambiamento?

Allora, mi rivolgo a tutti i pattesi che stanno, in questi giorni, preprandano le proprie liste ed i propri programmi: cercate di capire fino in fondo quello che state facendo e dove state andando!"
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Il brano tratto da un mio articolo del 29 gennaio 2011, pubblicato su questo blog.
Mi scuso solo per la grammatica, un po' grezza. E perché al tempo credevo ancora che votare fosse importante. Ma tutto è conseguenziale.

mercoledì 20 febbraio 2013

Il voto inutile

Quando si comincia a parlare di voto utile - ed in Italia avviene già da diversi anni - si arriva al compimento della storia: è il tempo nel quale il voto è diventato, di per sé, inutile. 

Continuare ad eleggere un Parlamento esautorato della sua sovranità dalle leggi del mercato e della finanza, dagli accordi internazionali e dal mutato scenario culturale del mondo globalizzato, significa, infatti, partecipare alla parodia di una democrazia. Perché, pensandoci, solo di una parodia si tratta.

La richiesta di un voto utile ci consegna una realtà dei fatti che spesso non sappiamo leggere per bene. E bisogna chiedersi se l'utilità quale principio semplificatore sia stato tirata fuori dal cilindro per puro caso o meno.
Non è certamente un caso.
Quello che ci è sfuggito è che il mondo è cambiato, mentre le istituzioni politiche sono rimaste pressoché uguali a quelle di 100 anni fa. Eppure noi umani negli ultimi 30 anni abbiamo fatto (e in parte subito) una rivoluzione tecnologica spaventosa. Ma come mai le istituzioni e gli istituti moderni sono rimasti in piedi?
Proprio perché non contano più nulla.
Perché  sulla catena semovente ci siamo saliti anche noi; e siamo stati montati pezzo per pezzo;  abituati ad esser venduti e a venderci.
Perché, dopo la seconda guerra mondiale, mentre si firmava la Costituzione in Italia e negli altri paesi si ricostruiva il sistema parlamentare con altrettante costituzioni o riforme, parallelamente si firmavano gli accordi internazionali per la svendita della sovranità nazionale. Sovranità che comunque sarebbe andata incontro ad una fine, in quanto non avrebbe retto all'insorgenza di un cosmopolitismo che probabilmente non ha bisogno del progresso di tipo antopocentrico e capitalistico per emergere: è un sentimento antico, celato solo dagli steccati nazionalistici della modernità. Ma il punto è che il quadro internazionale liberista, la globalizzazione del capitalismo e l'americanizzazione delle culture non sono avanzate democraticamente, al contrario di quanto si tenda a far credere. Non è stato un moto di liberazione; piuttosto il matrimonio poligamico degli stati del vecchio continente con la puttana più forte di tutte, gli Stati Uniti d'America. Il Piano Marshall fu, infatti, la prima grande multinazionale della storia: gli americani trovarono un approdo stabile per esportare le loro produzioni, risolvendo i loro problemi interni, con la scusa della ricostruzione europea.

Il voto utile, dunque, è solo un'altra invenzione della classe politica: serve a farci spostare l'attenzione sul tema della "governabilità", continuando a ignorare il tema della cessione di sovranità che, come sto provando a raccontare, è in atto già dal dopoguerra. La governabilità è certamente un tema importante per uno stato; tuttavia l'operazione fin qui condotta da quei politici che ogni tanto se ne occupano non tiene conto delle reali trasformazioni sociali e politiche, né della crisi di rappresentatività. Quest'ultima non è dovuta al fatto che non ci siano abbastanza partiti che corrispondano agli ideali del popolo; piuttosto alla circostanza che i partiti, in qualità di strumenti, non sono utili a rappresentare la mutevolezza e la tensione globale della società contemporanea.
Fare il confronto con gli altri paesi, rispetto a questo tema (ed a tanti altri), è sempre sbagliato. La storia, la cultura e le contingenze diverse impongono percorsi diversi.

In Italia, dopo il secondo conflitto mondiale, la situazione era davvero unica: il territorio occupato dalle forze alleate e la presenza del Partito Comunista più grande d'occidente.
La Democrazia Cristiana di De Gasperi, dopo essersi liberata dell'unità politica seguita alla fine dell'esperienza fascista e cominciata nell'ambito del CLN a partire dal 1944, diede il via, a seguito del viaggio a Washington del gennaio '47, alla famosa conventio ad excludendum nei confronti del PCI e del PSI.
Mentre si andava avanti con la stesura della carta costituzionale, l'Italia di De Gasperi aderì alle posizioni occidentali e si avviò verso il Patto atlantico. La scelta occidentalista, d'altronde, era favorita dal fatto che la presenza militare americana sul territorio italiano non fu mal vista dai cittadini; ma soprattutto, dalle questioni del confine orientale, dove l'intransigenza nazionalistica di Tito (a seguito alle manie ed alle politiche fasciste), mise in cattiva luce il Pci, disinteressato a prendere posizione in favore della patria.

L'esclusione dal potere statale dei partiti di sinistra, e l'alleanza con le forze liberali e repubblicane, permisero alla Dc, fino agli anni '60, di governare senza l'immediata attuazione di alcune parti del dettato costituzionale: persino la Corte Costituzionale entrò in vigore solo dal 1957. In quel lasso di tempo - in assenza di controllo - i governi filo-americani operarono discriminazioni politiche nei confronti dei comunisti e dei socialisti, impedirono il loro radicamento nelle istituzioni - si pensi che il ritardo nell'attuazione delle Regioni (compiuta solo negli anni '70) è servita alla Dc per non concedere poteri ai comunisti nelle regioni rosse - e gli inibirono la futura azione politica, impegnando lo Stato con i primi trattati internazionali occidentalisti.
Sostanzialmente il 2 giugno 1946 gli italiani hanno votato credendo di ottenere una sovranità che in realtà non hanno mai avuto veramente.

In questo modo, al ritiro della conventio ad escludendum nei confronti del PSI, nel 1960, e del PCI dalla metà degli anni '70, le forze della sinistra finirono per essere perfettamente integrate nel sistema, facendosi ormai solo portarici di istanze di miglioramento delle condizioni materiali. Colpa anche delle contingenze internazionali che -  qualche malizioso direbbe manovrate ad arte, col favore di Stalin - sfasciarono l'unità d'intenti tra PCI e PSI, con quest'ultimo che si avvicinò abbastanza rapidamente alle posizione atlantiste. Nel 1957, infatti, il PSI vota a favore dei trattati istitutivi delle comunità europee (Euratom e CEE); nel 1960 sostiene indirettamente, con l'astensione, il governo Fanfani II; nel '63 forma il prmo governo di centro-sinistra con la DC, di cui Pietro Nenni sarà vicepresidente del consiglio.

Alla fine degli anni '60 si poteva notare un Partito Socialista perfettamente socialdemocratico ed un Partito Comunista spaesato e non più rivoluzionario, ma fortissimo per via del suo radicamento in ambito sindacale.
Dagli anni '70 il PCI diviene una forza parlamentare responsabile, in difesa dello stato e della legalità: sostiene le campagne referendarie contro l'abolizione della riforma del diritto di famiglia e contro l'abolizione della legge sull'aborto; condannna il terrorismo; si astiene prima e vota poi la fiducia ai governi Andreotti (rispettivamente nel '76 e nel '78).
Dopo l'esperienza eurocomunista di Berlinguer, il partito fu finalmente pronto a estinguersi in mezzo caos giudiziario di tangentopoli e di mani pulite; caos che però non coinvolse direttamente quelli di via delle botteghe oscure, se non per un concatenarsi di eventi e per il mutato scenario internazionale (neo-liberismo e fine dell'intervento statale nell'economia a livello mondiale, crollo del muro di Berlino insieme al crollo dell'Urss).

Dagli anni '90 ad oggi, invece, la storia ci è più chiara: non è esistita più una forza rivoluzionaria radicata a livello nazionale ed il PDS (erede del PCI) ha sempre attenuato le sue posizioni riformiste, fagocitato della società tecnologica e dei consumi, assestandosi definitivamente nel Partito Democratico come forza di gestione delle contingenze, in favore del suo elettorato di riferimento: la classe operaia in forma liquida, gli apparati burocratici, le cooperative rosse, l'elité intellettuale. Ed anche tutti gli altri partiti della sinistra, pur distinguendosi per una più marcata retorica anti-liberista, non hanno potuto fare a meno di seguire lo stesso percorso.

L'americanizzazione cominciata nel '47 si è fatta irresistibile culturalmente dagli anni '90. Il modello che abbiamo gradualmente importato è quello della (in)civiltà dei consumi; quello liberale e poi neo-liberista. Tutto ciò favorito anche dalla televisioni commerciali di Berlusconi.
Del fallimento idealistico del '68-'69 agli inizi degli anni '90 c'era rimasto ben poco; o meglio: era rimasto poco di quella idealità ma molto in termini di una elité neo-borghese che proveniva da quell'esperienza e che ne ha rappresentato l'assorbimento delle istanze nei meccanismi sistemici.

La seconda repubblica italiana, da quel momento, si fa marcatamente più commerciale e spettacolare. I partiti e la loro politica a forma di prodotto di consumo, esposti nelle grandi vetrine mediatiche, sono sempre meno capaci di lanciare iniziative di cambiamento: perché nel frattempo hanno ceduto la sostanza vera della politica ad altri soggetti; mentre per loro hanno tenuto la forma, l'estetica.
I partiti, in qualche modo, hanno fatto da scudo e da distrazione universale rispetto all'avanzamento del mondo finanziario quale sostituto, nel potere di regolazione sociale, dello Stato ed dei partiti stessi; questi soggetti - tutto sommato - avevano mantenuto il potere fino agli anni '80. Ma forse la situazione gli è sfuggita di mano.

Gli altri importanti stati europei, molto semplicemente, erano già da tempo avviati ad una storia industriale che li inseriva, con più forza rispetto all'Italia, nel contesto atlantico: questo facilitò il superamento delle resistenze politiche, offrendo a questi paesi stabilità politica ed economica maggiore. E se è chiaro che in Germania, dove nacque il più importante partito socialdemocratico del mondo già nel 1875, la disciplina del sistema parlamentare liberale non è mai stata facile da rovesciare (ci avevano provato nel '18, dopo la prima guerra mondiale, senza successo; il resto della storia è noto), la Francia, che pure aveva un partito comunista abbastanza radicato, restava il Paese della rivoluzione borghese, condizione determinante anche nelle politiche nei suoi gruppi radicali. Gli stati scandinavi, d'altro canto, mai interessati da vere folate comuniste, sono da sempre social-democrazie stabilmente costruite su un'americanizzazione intelligente ma non per questo meno preoccupante.
In tutti questi paesi i temi del mutamento sociale e della sostenibilità planetaria sono fagocitati dalle migliori condizioni strutturali dell'economia - e di dignità materiale per i cittadini - al prezzo di far ignorare le assudità e le aberrazioni del sistema industriale, della produzione e del consumo. E non basterà le green economy a salvarci l'anima!
E quindi... non solo in Italia, ma in tutto il mondo, a somiglianza della pseudo democrazia americana, la nostra è divenuta la parodia di una democrazia.

Lo si vede negli spot elettorali, ormai sdoganati anche tra i partiti fatti di ex comunisti e socialisti, i quali riescono ad offrirci un fragrante odore di merda, più che un "profumo di sinistra". E la merda in questione la chiamerei atteggiamento spettacolizzato e commerciale. Guardate gli spot e gli slogan di SEL, di Rivoluzione Civile o del Movimento 5 Stelle: capirete che l'alternativa non è poi così alternativa.  Quelli di SEL estetici come non mai nel video, che dai toni ricorda gli spot della Rai per il sociale o quelli per il canone di qualche anno fa; ma soprattutto ridicoli nelle parole scritte: "portate i nonni a votare". RC sentimentali e spocchiosi con la Mannoia che canta; Grillo in versione terrorista mediatico.
E ancora, che è una parodia, lo si vede nei talk show televisivi e nei telegionali. Lo si vede anche nella satira, falsamente di sinistra: antiberlusconiana per antipatia e per convenienza.
Aggiungiamo anche che ogni qual volta una banca si occupa delle elezioni, come ha fatto ieri Mediobanca con i suoi forti giudizi, l'attenzione dei media e la discussione politica - di per sé già inesistente - si spostano su quell'argomento. Questo fatto indica come il potere economico delle banche e della finanza sia più forte del potere dei partiti; parimenti, quanto il giornalismo non abbia interesse a fare argine contro il modello spettacolare, ma ci sguazzi dentro senza etica.

Insieme a Bauman, Baudrillard ed altri simpatici amici, in questi mesi ho cercato di scrivere di come e di quanto siano divenute merci le nostre identità e le nostre relazioni interumane, mutuando i prodotti materiali destinati al consumo in sensocomune. Tra qualche tempo, magari, mi piacerebbe attenzionare la mercificazione delle identità politiche; il consumo di politica.
Per il momento posso limitarmi a pensare che la forma del mercato e la ricerca emozionale spettacolarizzata, finalizzata a recuperare quell'incanto che la realtà ha perduto (in termini weberiani), ha assunto la forma dell'intero pianeta. Non esiste più luogo (o non luogo) ove non soffi questo uragano, abilmente truccato da soffice brezza marina. E se esiste uno spazio fuori da questo stato di cose, probabilmente non è abitato da uomini: cosa che, anche nella modernità liquida, significa l'inestistenza. Inesistente è tutto ciò che non è nell'ambito d'interesse dell'uomo e non è filtrato dall'occhio e dal corpo umano. E qui non si parla solo di politica e di contrapposizione tra modelli di sviluppo, ma anche di atteggiamento culturale: non è importante se un isolotto inabitato da uomini viene sommerso per l'innalzamento del livello del mare. Anzi, non è nemmeno accaduto.

Andare a votare, sentendosi tutelati da e tutori di una Costituzione che fin dall'inizio è stata scavalcata agevolmente (e che non rappresenta nemmeno una grande conquista politica, per quelli come noi), mi sembra un'operazione inutile. Non credo nell'arrivo di governi peggiorativi delle condizioni materiali e culturali; ammeno ché non si pensi che peggiorativi siano quelli che non seguono le direttive dell'Unione Europea (più che altro i poteri economici e la finanza) e migliorativi quelli che le seguono. Che poi, a parte qualche pasticcio, tutti i governi sono costretti a seguirle.

Il nostro orizzonte è un po' più in là: oltre le istituzioni democratiche tradizionali; oltre l'Unione Europera liberista e imperialista; verso l'unione dei popoli che rifiutano, in tutto il mondo, quel diritto alla prevaricazione capitalistica tutelato dagli ordinamenti giuridici degli stati cosiddetti democratici.

martedì 19 febbraio 2013

Intervallo. [E ripartenza].

"Senza il libro del viaggio si affumicavano i pensieri: è arrivato il conto, è un foglio di via, urgente come un “vattene”, cosa vuoi da città e ragazza, te ne sei andato a smaltire lontano il tempo migliore, qui nessuno ti conosce e nessuno ti può riassumere gli anni mancati. Cosa vieni a fermarti nella città spalata e ammucchiata, dove basta uno scirocco a staccare tegole, cornicioni, intonaci? Non è posto da nozze. La ragazza ha da sporgersi sopra l’avvenire come sopra un balcone di montagna, tu le puoi offrire un vicolo. Che ti ami non basta ad arrivare al giorno dopo, e che tu l’ami: grazie, lei è la festa, la fortuna, il tuo posto, tu sei il dente estratto da mascella che ritrova il punto di partenza nel cavo del suo abbraccio. Lei è il tuo posto, ma tu non sei il suo. [...]

La cucina è spenta, non preparo la cena, non apparecchio i piatti, niente vino. Siedo con il foglio del conto aperto e aspetto. Lei ritorna, saluta, vede e si mette a sedere. Quanto siamo rimasti zitti, poi che parole mandate allo sbaraglio nel campo dei centimetri che le nostre mani non potevano attraversare: ho scordato. Deve avermi detto di non fare così, ma io non so più di che materia fosse quel così, se bruciava o era spento. 

Ora che è vita andata, recito l’atto di dolore: mi pento e mi dolgo, mi dolgo e mi pento di averle presentato il conto. La presunzione di avere diritto mi gonfiava la vena della fronte. Avanzavo il mio rauco reclamo e più sacrosanto era, più era goffo: le chiedevo il conto, e mai si deve tra chi sta in amore. Non esiste il tradito, il traditore, il giusto e l’empio, esiste l’amore finché dura e la città finché non crolla. Poi esistono i bagagli e si ritorna profughi, senza la giustifica della maledizione di una guerra, senza una malasorte da spartire con altri. Di quel conto tutto era stato già pagato e il saldo era che bisognava alzarsi di sedia, di stanza e di città". 

E.D.

venerdì 15 febbraio 2013

No Muos: un battaglia anti-imperialista che può cambiare il mondo

Qui non si tratta di dichiarare i siciliani padroni a casa propria; non si tratta di preservare gli spazi naturali e il suolo pubblico; non si tratta di tutelare la salute dei siciliani; non si tratta nemmeno di ripudiare uno strumento di guerra, né la guerra stessa. Qui si tratta di innescare una trasformazione globale. Ma questa trasformazione si può innescare solo se c'è un popolo davvero informato, e finalmente cosciente della portata di questa battaglia; del significato di questo rifiuto.
Un governo regionale o nazionale può cedere ai meccanismi del sistema, al bon ton (o opportunismo) diplomatico; un popolo consapevole invece non può essere fermato. E questo popolo è un popolo globale.

Non dovranno essere i siciliani a rifiutare l'impianto di antenne satellitari sul territorio che sentono proprio; dovrà essere un popolo più vasto, che oggi si unisce non già sulle fratture territoriali ed entro i confini della modernità, ma generato dalla liberazione cosmopolita dal nazionalismo, per la quale anche il termine "trasversale" tende ad essere inutilizzabile. E' il popolo ultranazionale unito dall'avversione all'imperialismo del XXI secolo; il popolo che, in ogni parte del pianeta, lancia un grido di cambiamento contro le offese alla propria vita. Un cambiamento che, tuttavia, spesso non sa raccontare; ma che, in fin dei conti, significa la fine della religione moderna fondata progresso antropocentrico, sull'accettazione legalizzata della prevaricazione e subordinazione economica e sociale, cioè sull'economia capitalistica, oggi liquida e finanziaria.

Tutto il mondo a Niscemi, tutto il mondo è Niscemi.
Le istanze di trasformazione della società globale attraversano le contingenze dello stato di salute del welfare e si spingono fino allo stato di salute del pianeta, attraversando la ribellione del sangue e dell'anima contro gli abusi della potenza militare e del potere persuasivo della società dei consumi.
Impedendo agli U.S.A. di realizzare il loro progetto di fortificazione del dominio militare sul mondo, finalizzato al rinnovo della vittoria dell'ideologia neoimperialista occidentale e della sottomissione culturale al modello democratico liberista, si vincono, tutte assieme, le battaglie per la salute, per la tutela del territorio, per il bene comune ed i beni comuni, per il ritorno della responsabilità sociale dell'economia.
La Sicilia, in Europa, lancerebbe un moto di cambiamento democratico e popolare. Ma, ripeto, serve un popolo unito e consapevole. Serve un popolo senza confini.

Il Presidente Crocetta andrà a colloquio con l'ambasciatore americano ed i suoi funzionari: la paura di una ricatto è fortissima. Ma noi siamo qui per vincere, al di là dei ricatti istituzionali. Noi dobbiamo esserci sia per sostenere Crocetta, sia per scavalcarlo, grazie alla forza della nostra organizzazione che è parallela alla realtà dello Stato liberal-democratico in cui ci troviamo.
L'auspicio è che i cittadini del mondo, liberamente uniti in gruppi denazionalizzati, e fuori dalle istituzioni tradizionali, abbiano la capacità di divenire soggetti della politica internazionale, partendo da occasioni come quella del MUOS.

Il 30 Marzo a Niscemi, se la manifestazione nazionale verrà confermata (e speriamo), dovremo portare la consapevolezza. Ed in tutte le sedi, in tutti i momenti, condurre la stessa lotta delicata, per vincere non solo oggi ma anche domani. Per non far morire l'eventuale vittoria della prima battaglia, dimenticandone il senso più profondo, cioè l'avversione alle attuali leggi del sistema internazionale.

martedì 12 febbraio 2013

Fuori da tutti i carnevali

Non manca molto, le elezioni sono ormai vicine. In questi giorni i politici faranno una campagna elettorale più serrata e più infuocata.
Ma quest'anno, che non manca molto, lo capiamo anche perché c'è stata questa strana coincidenza con l'altro carnevale, quello tradizionale.
Peppino Impastato del carnevale scriveva:


"Oggi si butta giù
la maschera, mascherandosi.
Il carnevale
è una festa davvero strana:
si vince l'ipocrisia
erigendole un monumento mascherato".


Quale miglior monumento se non una democrazia, finisco col chiedermi.
Capitale. Carnevale. Società. Spettacolo. Politica. Unendo i puntini esce fuori la raffigurazione chiara del mondo contemporaneo.

In questa società dello spettacolo ci si deve persino preoccupare del Festival Sanremo, che, secondo alcuni, potrebbe ridurre gli spazi della campagna elettorale o addirittura condizionare l'opinione pubblica. In sostanza... credo che la prima sia un'affermazione falsa; mentre la seconda vera in parte. Ma in questa sede non ci interessa approfondire, per cui andrò oltre.
L'altra faccenda "calda" che finisce nel calderone della campagna elettorale, riguarda le dimissioni del Papa: si intravedono già, da un lato commenti istituzionali e bonari molto molto ipocriti, e, dall'altro, interpretazioni pseudo politiche che in realtà, divenendo troppo esagerate, allontanano la verità di una vicenda che davvero nasconde un significato politico internazionale; ma molto delicato e complesso. In realtà, non oso immaginare su quali cazzate sposterà la nostra attenzione questa vicenda del Ratzinger, e quanto, ancora di più, ci drogherà mediaticamente fino a non farci più interessare al resto. Beh, magari questo no: ma certamente, da quel che vedo, il modo in cui verrà affrontata la vicenda da ora in avanti è il solito modo spettacolare e sensazionalista; per cui, ancora una volta, la realtà e la substantia del discorso poltico sono minacciate.
Ma lasciamo perdere anche questa vicenda, e proiettiamoci molto più in avanti.

Una cosa davvero interessante è che nelle nostre democrazie occidentali, in campagna elettorale, non si parla mai di politica: si affrontano temi, si sviscerano cifre, si fanno proposte più o meno improbabili, si ride, ci si accusa, si chiamano in causa giaguari e macchie... ma non si parla - realmente - di politica. Intendo dire che il nodo centrale di tutte le questioni aperte dovrebbe essere l'interrogarsi sul ruolo, la forza, i luoghi e i modi in cui nel 2013 è agita la politica. Di cosa è oggi la politica e di come può funzionare meglio.
Di tutti i paesi occidentali, da questo punto di vista, l'Italia è uno dei quelli che evitano queste tematiche in modo più diventente: da un lato Berlusconi, che di per sé (ormai lo sappiamo) è improponibile, continua ad affermare i mali del comunismo seguito a ruota da Monti e - che Dio lo abbia in gloria - da Giorgio Napolitano, uno dei peggiori ex-esponenti del P.C.I. (questa sua qualità valga come spiegazione della permanenza al Quirinale); dall'altro lato la sinistra radical chic si perde in congetture ed in lezioni di morale, mentre la sinistra delle banche, dei giornali e delle cooperative ammanta di un bieco parternalismo questa competizione elettorale. Poi c'è la magistratura e c'è il mondo della stampa: essi sono responsabili di compiere fin troppi abusi, determinando situazioni politiche strumentali (ma questo è, in parte, un fenomeno mondiale). In fine i talk show televisivi: dei perfetti teatrini; ma rispetto a quelli degli altri paesi occidentali (equalmente vuoti ed insignificanti) hanno il pregio di farci "divertire" di più. Sono tragicomici.

Non mi va di commentare  quello che ho sentito in campagna elettorale. Qualche parola, tuttavia, la spenderò per Giorgio Napolitano, il quale ha affermato che il comunismo ha fallito storicamente.
Non voglio, in questa sede, insultare il Presidente della Repubblica (anche se lo meriterebbe), ma mi sia consentito dire che quell'affermazione è fuori luogo, in mala fede, ovviamente falsa e per nulla superpartes. Essa tende ad incidere sulla campagna elettorale sulla scia Berlusconi-Monti (il primo è dal '94 che vende il mito della salvezza dai comunisti, il secondo ha affermato che il Pd sarebbe nato nel 1921, anno di fondazione del Partito Comunista d'Italia, volendone dare una visione negativa) ma soprattutto a continuare a ingannare gli italiani. Sia chiaro: il comunismo non ha fallito! e questo perché semplicemente non si è mai realizzato. Semmai le esperienze politiche nazionali di ispirazione marxista sono state sconfitte dalla potenza occidentale e dal suo sistema dei consumi. Questo sistema ottenne ben presto consenso ed efficacia nella regolazione sociale dell'occidente, generando fiducia e coesione politica. Rispetto alla società di spettacolo e di consumo occidentale, il blocco dei paesi socialisti non fu in grado di trovare uno strumento di competizione.
Tra le due affermazioni c'è una differenza sostanziale! La prima implica che il sistema comunista non funzioni strutturalmente; la seconda racconta come è andata la storia e dice che la forza imperialista dei paesi capitalisti ha ucciso e ha sconfitto le esperienze comuniste.
La cosa grave è spostare sempre il dibattito su queste stronzate. 
Parentesi chiusa.

Ora, mentre accade questo niente politico - e viene spettacolarizzato -, di dove stiano andando l'Europa e il mondo, di come quello che accade in qualsiasi parte del pianeta si ripercuota nelle nostre piccole comunità, di quanto incidano le scelte delle multinazionali e dei gruppi finanziari internazionali, di tutto questo... non ne parla nessuno.

Come è possibile che non riusciamo a ribellarci a queste campagne elettorali, al rito stesso del voto, alle solite forme della partecipazione, quando è sotto gli occhi di tutti che il luogo della politica oggi non è più lo Stato ma si è spostato nel mercato, o meglio nei mercati?

La situazione internazionale, e di conseguenza quella italiana, - è bene ricordarlo - non può essere spiegata e risolta né con slogan né con enunciati sistematici derivanti da una visione ideologica rivoluzionaria.  E' una vicenda complessa. Basti pensare all'interconnessione del capitalismo monetario e di quello finanziario; al livello di radicamento delle logiche del mercato; a tutti gli istituti e ai meccanismi generati da questo sistema, che abbietto per com'è, determina le politiche dei nostri governi... ma anche le nostre azioni individuali.
Pensiamo al caso degli F35: è una vicenda che ha ripercussioni diplomatiche e direttamente economiche, difficile da gestire. La responsabilità diretta dei promotori è ormai accertata; l'avversione ideologica di moltissimi di noi pure. Ma resta difficile sbrogliare con slogan o enunciazioni morali il complesso di situazioni generatosi e di quelle che potrebbero generarsi con un ritiro dalla partecipazione al progetto promosso dalla Lookheed. Sostanzialmente temo che sarà difficile per Bersani e Vendola "tagliare" gli F35, dopo che, nel 1998, è stato proprio Massimo D'Alema, uno dei lobbisti più importanti d'Italia con la sua fondazione "ItalianiEuropei" ed eminente esponente del PD,  a firmare il patto di collaborazione al progetto; difficile anche a seguito del fatto che le conseguenze negative di una brusca ritirata graverebbero non solo sui rapporti internazionali e sul posizionamento italiano dentro la NATO, ma anche su vicende economiche interne. E' utile ricordare che gli F35 sono già in produzione, tra poco anche in alcuni cantieri italiani. L'impianto è pronto; e ci lavoreranno operai italiani.  

"[...] al progetto F35 partecipa anche l’Italia con la produzione di alcune parti delle ali e della fusoliera nello stabilimento di Cameri (Novara). Il nostro paese è un partner di secondo livello, con un investimento di 1 miliardo di euro a fronte dei 2,5 degli inglesi, e gli F35 sostituiranno tra il 2015 e il 2026 gli Amx e i Tornado dell’Aeronautica e gli AV-8 Harrier della Marina. Lo stabilimento di Cameri costerà circa 800 milioni e la produzione delle ali di 1.251 apparecchi garantirà un ritorno di 540 milioni. Lo stabilimento, però, diventerà «la seconda catena d’assemblaggio mondiale ponendosi in lizza come futuro centro europeo e mediterraneo di manutenzione e per l’applicazione delle tecnologie stealth agli apparecchi»". [ Panorama.it, http://italia.panorama.it/F35-e-Eurofighter-Typhoon-in-Italia-gli-aerei-militari-di-nuova-generazione ]

I problemi relativi alle implicazioni sociali della realtà economica capitalistica sono all'odine del giorno da anni: si pensi alle commesse di enormi navi di lusso fatte in favore dei cantieri nautici italiani che, se ritirate a causa di politiche fiscali intese a ridurre le differenze sociali ridistribuendo la ricchezza (o a causa dell'evasione fiscale, che in Italia è servita, tra le tante cose, a scavalcare i principi della Costituzione che semplicemente non andava bene in un clima americanizzato, e per determinare un più marcato favore nei confronti del capitalismo), mettono a rischiomigliaia di posti di lavoro. 
Ma nel caso degli F35 abbiamo una visione internazionale ed imperialista (poiché legata al potere militare) del sistema sociao-economico e della sua complessità. Certo, ad essere sinceri, sono molti di meno i problemi di rinconversione del lavoro nel settore altamente specializzato dell'industria da guerra, che in tutti gli altri settori. E nel caso di questi innovativi aerei, sempre per dirla tutta, si parlerebbe di poche cetinaia di lavoratori.
Tuttavia si aprono anche qui degli scenari che non si possono ignorare.

Un'altra delle situazioni contingenti di rilievo, sulla quali i movimenti hanno trovato il sostegno della politica istituazionale, riguarda il MUOS di Niscemi: il sofisticato sistema di antenne satellitari U.S.A., destinato a funzioni militari, che mette a rischio (secondo molti) la salute delle comunità locali, deturpa e saccheggia il territorio pubblico della "Riserva naturale orientata Sughereta", e, soprattutto, serve a rafforzare il sistema neoimperialistico occidentale filo-statunitense. 
Ma, se è vero che c'è il sostegno del Presidente della Regione, di diversi gruppi politici, oltre che di larghissima parte dell'opinione pubblica, temo che le differenze sulle quali oggi si fonda questo sostegno, da parte di una così eterogenea platea, finiranno ancora una volta per non consegnarci una vittoria totale, anche nel caso in cui - straordinariamente- i lavori dovessero essere interrotti. Ferrandelli è stato il primo firmatario della mozione contro il MUOS all'Ars; i grillini tra i più convinti sostenitori; anche l'Udc sembra d'accordo. Ma... questi soggetti che idea hanno della politica internazionale? E poi... sono anch'essi anticapitalisti come i movimenti più animati che fanno parte del fronte NO MUOS? E il Presidente della Regione, Crocetta, che ha invitato Martin Schulz (Presidente inutile dell'inutile Parlmento Europeo) in Sicilia per fargli vedere che la Sicilia vuole stare in Europa e farà di tutto per adeguarsi... perché non gli chiedeva di prendere posizione sul MUOS? 
E poi la gente comune. Glielo vogliamo dire o no che più che per la salute a noi importa fare una battaglia per riscrivere le logiche socio-economiche internazionali e non essere più oppressi dal sistema imperialistico? Vogliamo spiegare a tutti che vincere a Niscemi - e vincere davvero - vorrebbe dire cambiare il sistema internazionale?! Non sarebbe il caso di parlare in questi termini?!
Crocetta, Ferrandelli, il Pd, l'Udc... oltre ad avere le mani legate dai difficili equilibri politici nazionali... sono perfettamente inclusi in quel sistema, che difficilmente ripudieranno se questa istanza non partirà dal popolo. Per altro ormai, come stiamo vedendo, i loro poteri sono limitati dagli accordi internazionali: un vero tema sul quale non si discute mai!

A Niscemi si può fare vincere qualcosa di più grande che l'inutile orgoglio siciliano di tipo nazionalistico, o le più serie ragioni della salute e di sostenibilità ambientale. Cioè tutte queste questioni importanti, con una sicilianità che invece può voler dire una forma storica da reinterpretare in senso cosmopolita, possono vincere nel contesto più ampio della vittoria dell'avversione alla cultura capitalistica, dei consumi, della finanza e della lotta imperialistica che sta distruggendo il pianeta. 
Ma forse ci vorrebbe un po' più di serietà e di chiarezza da parte di tutti quelli interessati alla vicenda.

Ho divagato. Ma volevo solo mettere in luce la complessità che anche questa vicenda mostra, per ribadire una volta di più la necessità di occuparsi di politica in altri termini. Per l'esattezza, in primo luogo, nei temini della comprensione del senso dell'azione politica nel XXI secolo, della ricerca di nuove forme e soprattutto dell'individuzione delle strutture e degli strumenti che devono rimpiazzare quelli che evidentemente non funzionano più: il partito di massa otto-novecentesco, lo Stato-Nazione, il parlamentarismo democratico moderno etc.

Le istuzioni politiche odierne, alle quali continuiamo a rapportarci e a dare il nostro consenso, sono esattamente quelle che, pur garantendo ancora una certa regolazione sociale generale, non rispondono più a quel principio della sovranità affidata al popolo che dovrebbe essere il fondamento della nostra gestione associativa della vita pubblica, anche nell'era tecnologica. Ma al di là del fatto che la sovranità del popolo debba essere o meno un principio ancora valido (in effetti, dal punto di vista dell'analisi sociale, temo che tutte le strutture e i concetti tendano a non avere più valore fuori dal loro tempo storico: sia "sovranità" che "popolo" possono esser rimpiazzati), nei fatti si verifica che mentre questo principio è pubblicizzato e difeso esteticamente, da uomini di potere ed istituzioni di tutto il mondo, nella realtà la sovranità è stata ormai ceduta, in larga parte,  ai mercati. A tal proposito, vi propongo un passo tratto da Zigmunt Bauman:

"Se si concorda con l'affermazione di Carl Schmitt, secondo cui la prerogativa ultima che definisce la sovranità è il diritto di esentare, si deve ammettere che nella società dei consumatori il vero titolare del potere sovrano è il mercato dei beni di consumo; è lì, nel luogo dove si incontrano venditori e compratori, che avviene quotidianamente la selezione e la separazione tra chi è dannato e chi è salvo, chi è dentro e chi è fuori, chi è incluso e chi è escluso [...] Per respingere le proteste che a volte seguono i verdetti del mercato i politici hanno a disposizione la collaudata formula del "non eiste alternativa", diagnosi ch etende ad autorealizzarsi, ipotesi che produce la propria autoconferma. [...] In effetti non è lo Stato, e neanche il suo braccio esecutivo, a indebolirsi, erodersi, svuotarsi, a diventare un "ramo secco", ma la sua sovranità, la prerogativa che esso ha di tracciare la linea tra chi è incluso e chi è escluso, ivi compreso il diritto a riabilitare e a riammettere gli esclusi. 
In parte, tale sovranità è stata già in certo qual modo limitata, ed è probabile che continui a ridursi, pezzo dopo pezzo, sotto la pressione di leggi vincolanti a livello globale, sostenute da organi giudisdizionali (...) che iniziano ad emergere.  Questo processo ha tuttavia rilevanza secondaria o subordinata rispetto alla questione della nuova sovranità dei mercati, e cambia ben poco il modo in cui le decisooni sovrane vebgono prese e legittimate. Anche quando è spostata "in Alto" e trasferita a istituzioni sovrastatali, la sovranità (almeno dal punto di vista del principio cui essa si presume e si pensa ottemperi) continua a mescolare il potere con la politica e a subordinarlo alla sua supervisione; e, ciò che più conta, grazie al fatto di avere recapito fisso può essere contesta o  riformata.
Molto più rivoluzionaria (...) è un'altra tendenza, che scardina in modo assai più radicale la sua sovranità: la tendenza dello Stato, indebolito, a trasferire lateralmente, anziché verso l'alto molte delle proprie funzioni e prerogative, cedendole al potere impersonale dei mercati, ovvero la sua resa sempre più totale alle forze del mercato, che si oppongono alle politiche sostenute e approvate dall'elettorato [...] ". [Z.B., Consumo, dunque sono, Laterza, Bari, 2010, pagg. 82-83]

A fronte di tutto ciò dovremmo decidere cosa fare: riformare lo Stato in modo che possa rispondere meglio alla "realtà liquida", magari contribuendo a condizionarla, e porlo più chiaramente nell'ambito della globalizazione, recuperando una sovranità che risieda finalmente nei popoli (però in ottica cosmopolita e non nazionalistica); oppure lavorare per abbattere lo Stato e sostituirlo con qualcosa di diverso, se gli si riconoscerà l'incapacità di modellarsi sul mondo contemporaneo e se lo si inquadrerà (finalmente) per quello che effettivamente ha rappresentato: un'istituzione figlia del capitalismo, utile al capitalismo. 

Lenin saprebbe rispondere anche nel 2013 alla risposta "Che fare?". Io, che certamente non sono Lenin, non so rispondere. Ma temo che "fare", che "agire" sia molto più complesso di quanto i marxisti-leninisti, ancora oggi, pensino.
Però, chiaramente, è necessario fare qualcosa. Perché vivere è agire. Innanzitutto, bisogna fare qualcosa per tutelare ed offrire alla pienezza dell'esperienza sociale le nostre vite oggi. Sicuramente però ci dovremmo interessare di come far vincere un modello moralmente più forte e riuscire a limitare il nostro atteggiamento antropocentrico domani. 

Quando si va incontro alle elezioni, purtroppo, non si ha contezza di tutto ciò: si è, così, tristemente coinvolti in una dimensione alienante fatta di cifre, dichiarazioni, slogan, battute, satira, accuse, scatti di orgoglio, riferimenti bibliografici usati un po' a cazzo e strumentalmente, che ci consegna l'idea per la quale l'unico terreno in cui poter agire la politica vera sia quello parlamentare. Facendoci giustamente indignare per la qualità del dibattito e per gli abusi della "casta". 
Ma la verità è che la politica si trova in tanti luoghi; e forse il Parlamento è uno dei luoghi dove è meno presente. Questo concetto, sbrigativo e polemico, è ovviamente impreciso e indegno di un'analisi scientifica. Ma questa non lo è. Ed il messaggio che vorrei passasse credo che ormai sia chiaro: bisogna lavorare fuori dalle istituzioni storiche, costruire parallelamente l'alternativa. Con distanza da tutto ciò che è logoro e non ci appartiene, recuperare la sovranità.

Putroppo, ai tempi dello spettacolo generalizzato, la dialettica tra rivoluzionari e riformisti è piombata anch'essa sul palcoscenico del grande teatro. Lo penso quando mi rivedo nei cortei - solitamente abbastanza istituzionali, o comunque fagocitati dalle istituzioni abbastanza celermente - ai quali ho preso parte, con grande entusiasmo e con una voglia di agire genuina e istintiva, fino a qualche anno fa. Credo che impegnassimo male il nostro tempo: quei cortei non sono mai serviti a molto, se non a creare un po' di socialità (ma per quella di modi ce ne sono molti altri); e credo che facessimo troppo spettacolo anche noi: slogan, foto, musica, balli venduti come qualcosa che, in realtà, non  riuscivano ad essere. Questa situazione, purtroppo, la vedo ancora oggi, peggiorata da Facebook: un senso di partecipazione che si è fatto via via più estetico che sostanziale - e che infatti riesce ad avvicinare alle "battaglie" condotte, anche la borghesia urbana pseudoacculturata senza metterla in discussione, e senza che essa si senta messa in discussione -, in linea con le logiche sistemiche e dunque (forse) poco utile a fini politici rivoluzionari. Senza contare che la maggioranza delle battaglie contingenti, più marcatamente dagli anni 90, hanno assunto i connotati della "controrivoluzione", più che della rivolzuione: cioè quello sforzo  inteso a recuperare, in questo specifico caso, la condizione promessa,  accarezzata ed in parte vissuta per mezzo della crescita economica, nel clima generale della società dell'abbondanza innauguratosi a partire dagli anni '60 del secolo scorso.

Ma non tutte le speranze sono perdute. Anzi, sono certo che recuperemo la bontà delle nostre istanze politiche di trasformazione e le scioglieremo dai vincoli di partecipazione alla società dei consumi, per uscire finalmente fuori dal carnevale istituzionale e da quello controrivoluzionario.

Ai posteri, come sempre, l'ardua sentenza. A noi il compito di prendere parte, di sbilanciarci, di parteggiare. Di vivere.