mercoledì 20 febbraio 2013

Il voto inutile

Quando si comincia a parlare di voto utile - ed in Italia avviene già da diversi anni - si arriva al compimento della storia: è il tempo nel quale il voto è diventato, di per sé, inutile. 

Continuare ad eleggere un Parlamento esautorato della sua sovranità dalle leggi del mercato e della finanza, dagli accordi internazionali e dal mutato scenario culturale del mondo globalizzato, significa, infatti, partecipare alla parodia di una democrazia. Perché, pensandoci, solo di una parodia si tratta.

La richiesta di un voto utile ci consegna una realtà dei fatti che spesso non sappiamo leggere per bene. E bisogna chiedersi se l'utilità quale principio semplificatore sia stato tirata fuori dal cilindro per puro caso o meno.
Non è certamente un caso.
Quello che ci è sfuggito è che il mondo è cambiato, mentre le istituzioni politiche sono rimaste pressoché uguali a quelle di 100 anni fa. Eppure noi umani negli ultimi 30 anni abbiamo fatto (e in parte subito) una rivoluzione tecnologica spaventosa. Ma come mai le istituzioni e gli istituti moderni sono rimasti in piedi?
Proprio perché non contano più nulla.
Perché  sulla catena semovente ci siamo saliti anche noi; e siamo stati montati pezzo per pezzo;  abituati ad esser venduti e a venderci.
Perché, dopo la seconda guerra mondiale, mentre si firmava la Costituzione in Italia e negli altri paesi si ricostruiva il sistema parlamentare con altrettante costituzioni o riforme, parallelamente si firmavano gli accordi internazionali per la svendita della sovranità nazionale. Sovranità che comunque sarebbe andata incontro ad una fine, in quanto non avrebbe retto all'insorgenza di un cosmopolitismo che probabilmente non ha bisogno del progresso di tipo antopocentrico e capitalistico per emergere: è un sentimento antico, celato solo dagli steccati nazionalistici della modernità. Ma il punto è che il quadro internazionale liberista, la globalizzazione del capitalismo e l'americanizzazione delle culture non sono avanzate democraticamente, al contrario di quanto si tenda a far credere. Non è stato un moto di liberazione; piuttosto il matrimonio poligamico degli stati del vecchio continente con la puttana più forte di tutte, gli Stati Uniti d'America. Il Piano Marshall fu, infatti, la prima grande multinazionale della storia: gli americani trovarono un approdo stabile per esportare le loro produzioni, risolvendo i loro problemi interni, con la scusa della ricostruzione europea.

Il voto utile, dunque, è solo un'altra invenzione della classe politica: serve a farci spostare l'attenzione sul tema della "governabilità", continuando a ignorare il tema della cessione di sovranità che, come sto provando a raccontare, è in atto già dal dopoguerra. La governabilità è certamente un tema importante per uno stato; tuttavia l'operazione fin qui condotta da quei politici che ogni tanto se ne occupano non tiene conto delle reali trasformazioni sociali e politiche, né della crisi di rappresentatività. Quest'ultima non è dovuta al fatto che non ci siano abbastanza partiti che corrispondano agli ideali del popolo; piuttosto alla circostanza che i partiti, in qualità di strumenti, non sono utili a rappresentare la mutevolezza e la tensione globale della società contemporanea.
Fare il confronto con gli altri paesi, rispetto a questo tema (ed a tanti altri), è sempre sbagliato. La storia, la cultura e le contingenze diverse impongono percorsi diversi.

In Italia, dopo il secondo conflitto mondiale, la situazione era davvero unica: il territorio occupato dalle forze alleate e la presenza del Partito Comunista più grande d'occidente.
La Democrazia Cristiana di De Gasperi, dopo essersi liberata dell'unità politica seguita alla fine dell'esperienza fascista e cominciata nell'ambito del CLN a partire dal 1944, diede il via, a seguito del viaggio a Washington del gennaio '47, alla famosa conventio ad excludendum nei confronti del PCI e del PSI.
Mentre si andava avanti con la stesura della carta costituzionale, l'Italia di De Gasperi aderì alle posizioni occidentali e si avviò verso il Patto atlantico. La scelta occidentalista, d'altronde, era favorita dal fatto che la presenza militare americana sul territorio italiano non fu mal vista dai cittadini; ma soprattutto, dalle questioni del confine orientale, dove l'intransigenza nazionalistica di Tito (a seguito alle manie ed alle politiche fasciste), mise in cattiva luce il Pci, disinteressato a prendere posizione in favore della patria.

L'esclusione dal potere statale dei partiti di sinistra, e l'alleanza con le forze liberali e repubblicane, permisero alla Dc, fino agli anni '60, di governare senza l'immediata attuazione di alcune parti del dettato costituzionale: persino la Corte Costituzionale entrò in vigore solo dal 1957. In quel lasso di tempo - in assenza di controllo - i governi filo-americani operarono discriminazioni politiche nei confronti dei comunisti e dei socialisti, impedirono il loro radicamento nelle istituzioni - si pensi che il ritardo nell'attuazione delle Regioni (compiuta solo negli anni '70) è servita alla Dc per non concedere poteri ai comunisti nelle regioni rosse - e gli inibirono la futura azione politica, impegnando lo Stato con i primi trattati internazionali occidentalisti.
Sostanzialmente il 2 giugno 1946 gli italiani hanno votato credendo di ottenere una sovranità che in realtà non hanno mai avuto veramente.

In questo modo, al ritiro della conventio ad escludendum nei confronti del PSI, nel 1960, e del PCI dalla metà degli anni '70, le forze della sinistra finirono per essere perfettamente integrate nel sistema, facendosi ormai solo portarici di istanze di miglioramento delle condizioni materiali. Colpa anche delle contingenze internazionali che -  qualche malizioso direbbe manovrate ad arte, col favore di Stalin - sfasciarono l'unità d'intenti tra PCI e PSI, con quest'ultimo che si avvicinò abbastanza rapidamente alle posizione atlantiste. Nel 1957, infatti, il PSI vota a favore dei trattati istitutivi delle comunità europee (Euratom e CEE); nel 1960 sostiene indirettamente, con l'astensione, il governo Fanfani II; nel '63 forma il prmo governo di centro-sinistra con la DC, di cui Pietro Nenni sarà vicepresidente del consiglio.

Alla fine degli anni '60 si poteva notare un Partito Socialista perfettamente socialdemocratico ed un Partito Comunista spaesato e non più rivoluzionario, ma fortissimo per via del suo radicamento in ambito sindacale.
Dagli anni '70 il PCI diviene una forza parlamentare responsabile, in difesa dello stato e della legalità: sostiene le campagne referendarie contro l'abolizione della riforma del diritto di famiglia e contro l'abolizione della legge sull'aborto; condannna il terrorismo; si astiene prima e vota poi la fiducia ai governi Andreotti (rispettivamente nel '76 e nel '78).
Dopo l'esperienza eurocomunista di Berlinguer, il partito fu finalmente pronto a estinguersi in mezzo caos giudiziario di tangentopoli e di mani pulite; caos che però non coinvolse direttamente quelli di via delle botteghe oscure, se non per un concatenarsi di eventi e per il mutato scenario internazionale (neo-liberismo e fine dell'intervento statale nell'economia a livello mondiale, crollo del muro di Berlino insieme al crollo dell'Urss).

Dagli anni '90 ad oggi, invece, la storia ci è più chiara: non è esistita più una forza rivoluzionaria radicata a livello nazionale ed il PDS (erede del PCI) ha sempre attenuato le sue posizioni riformiste, fagocitato della società tecnologica e dei consumi, assestandosi definitivamente nel Partito Democratico come forza di gestione delle contingenze, in favore del suo elettorato di riferimento: la classe operaia in forma liquida, gli apparati burocratici, le cooperative rosse, l'elité intellettuale. Ed anche tutti gli altri partiti della sinistra, pur distinguendosi per una più marcata retorica anti-liberista, non hanno potuto fare a meno di seguire lo stesso percorso.

L'americanizzazione cominciata nel '47 si è fatta irresistibile culturalmente dagli anni '90. Il modello che abbiamo gradualmente importato è quello della (in)civiltà dei consumi; quello liberale e poi neo-liberista. Tutto ciò favorito anche dalla televisioni commerciali di Berlusconi.
Del fallimento idealistico del '68-'69 agli inizi degli anni '90 c'era rimasto ben poco; o meglio: era rimasto poco di quella idealità ma molto in termini di una elité neo-borghese che proveniva da quell'esperienza e che ne ha rappresentato l'assorbimento delle istanze nei meccanismi sistemici.

La seconda repubblica italiana, da quel momento, si fa marcatamente più commerciale e spettacolare. I partiti e la loro politica a forma di prodotto di consumo, esposti nelle grandi vetrine mediatiche, sono sempre meno capaci di lanciare iniziative di cambiamento: perché nel frattempo hanno ceduto la sostanza vera della politica ad altri soggetti; mentre per loro hanno tenuto la forma, l'estetica.
I partiti, in qualche modo, hanno fatto da scudo e da distrazione universale rispetto all'avanzamento del mondo finanziario quale sostituto, nel potere di regolazione sociale, dello Stato ed dei partiti stessi; questi soggetti - tutto sommato - avevano mantenuto il potere fino agli anni '80. Ma forse la situazione gli è sfuggita di mano.

Gli altri importanti stati europei, molto semplicemente, erano già da tempo avviati ad una storia industriale che li inseriva, con più forza rispetto all'Italia, nel contesto atlantico: questo facilitò il superamento delle resistenze politiche, offrendo a questi paesi stabilità politica ed economica maggiore. E se è chiaro che in Germania, dove nacque il più importante partito socialdemocratico del mondo già nel 1875, la disciplina del sistema parlamentare liberale non è mai stata facile da rovesciare (ci avevano provato nel '18, dopo la prima guerra mondiale, senza successo; il resto della storia è noto), la Francia, che pure aveva un partito comunista abbastanza radicato, restava il Paese della rivoluzione borghese, condizione determinante anche nelle politiche nei suoi gruppi radicali. Gli stati scandinavi, d'altro canto, mai interessati da vere folate comuniste, sono da sempre social-democrazie stabilmente costruite su un'americanizzazione intelligente ma non per questo meno preoccupante.
In tutti questi paesi i temi del mutamento sociale e della sostenibilità planetaria sono fagocitati dalle migliori condizioni strutturali dell'economia - e di dignità materiale per i cittadini - al prezzo di far ignorare le assudità e le aberrazioni del sistema industriale, della produzione e del consumo. E non basterà le green economy a salvarci l'anima!
E quindi... non solo in Italia, ma in tutto il mondo, a somiglianza della pseudo democrazia americana, la nostra è divenuta la parodia di una democrazia.

Lo si vede negli spot elettorali, ormai sdoganati anche tra i partiti fatti di ex comunisti e socialisti, i quali riescono ad offrirci un fragrante odore di merda, più che un "profumo di sinistra". E la merda in questione la chiamerei atteggiamento spettacolizzato e commerciale. Guardate gli spot e gli slogan di SEL, di Rivoluzione Civile o del Movimento 5 Stelle: capirete che l'alternativa non è poi così alternativa.  Quelli di SEL estetici come non mai nel video, che dai toni ricorda gli spot della Rai per il sociale o quelli per il canone di qualche anno fa; ma soprattutto ridicoli nelle parole scritte: "portate i nonni a votare". RC sentimentali e spocchiosi con la Mannoia che canta; Grillo in versione terrorista mediatico.
E ancora, che è una parodia, lo si vede nei talk show televisivi e nei telegionali. Lo si vede anche nella satira, falsamente di sinistra: antiberlusconiana per antipatia e per convenienza.
Aggiungiamo anche che ogni qual volta una banca si occupa delle elezioni, come ha fatto ieri Mediobanca con i suoi forti giudizi, l'attenzione dei media e la discussione politica - di per sé già inesistente - si spostano su quell'argomento. Questo fatto indica come il potere economico delle banche e della finanza sia più forte del potere dei partiti; parimenti, quanto il giornalismo non abbia interesse a fare argine contro il modello spettacolare, ma ci sguazzi dentro senza etica.

Insieme a Bauman, Baudrillard ed altri simpatici amici, in questi mesi ho cercato di scrivere di come e di quanto siano divenute merci le nostre identità e le nostre relazioni interumane, mutuando i prodotti materiali destinati al consumo in sensocomune. Tra qualche tempo, magari, mi piacerebbe attenzionare la mercificazione delle identità politiche; il consumo di politica.
Per il momento posso limitarmi a pensare che la forma del mercato e la ricerca emozionale spettacolarizzata, finalizzata a recuperare quell'incanto che la realtà ha perduto (in termini weberiani), ha assunto la forma dell'intero pianeta. Non esiste più luogo (o non luogo) ove non soffi questo uragano, abilmente truccato da soffice brezza marina. E se esiste uno spazio fuori da questo stato di cose, probabilmente non è abitato da uomini: cosa che, anche nella modernità liquida, significa l'inestistenza. Inesistente è tutto ciò che non è nell'ambito d'interesse dell'uomo e non è filtrato dall'occhio e dal corpo umano. E qui non si parla solo di politica e di contrapposizione tra modelli di sviluppo, ma anche di atteggiamento culturale: non è importante se un isolotto inabitato da uomini viene sommerso per l'innalzamento del livello del mare. Anzi, non è nemmeno accaduto.

Andare a votare, sentendosi tutelati da e tutori di una Costituzione che fin dall'inizio è stata scavalcata agevolmente (e che non rappresenta nemmeno una grande conquista politica, per quelli come noi), mi sembra un'operazione inutile. Non credo nell'arrivo di governi peggiorativi delle condizioni materiali e culturali; ammeno ché non si pensi che peggiorativi siano quelli che non seguono le direttive dell'Unione Europea (più che altro i poteri economici e la finanza) e migliorativi quelli che le seguono. Che poi, a parte qualche pasticcio, tutti i governi sono costretti a seguirle.

Il nostro orizzonte è un po' più in là: oltre le istituzioni democratiche tradizionali; oltre l'Unione Europera liberista e imperialista; verso l'unione dei popoli che rifiutano, in tutto il mondo, quel diritto alla prevaricazione capitalistica tutelato dagli ordinamenti giuridici degli stati cosiddetti democratici.

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