martedì 19 febbraio 2013

Intervallo. [E ripartenza].

"Senza il libro del viaggio si affumicavano i pensieri: è arrivato il conto, è un foglio di via, urgente come un “vattene”, cosa vuoi da città e ragazza, te ne sei andato a smaltire lontano il tempo migliore, qui nessuno ti conosce e nessuno ti può riassumere gli anni mancati. Cosa vieni a fermarti nella città spalata e ammucchiata, dove basta uno scirocco a staccare tegole, cornicioni, intonaci? Non è posto da nozze. La ragazza ha da sporgersi sopra l’avvenire come sopra un balcone di montagna, tu le puoi offrire un vicolo. Che ti ami non basta ad arrivare al giorno dopo, e che tu l’ami: grazie, lei è la festa, la fortuna, il tuo posto, tu sei il dente estratto da mascella che ritrova il punto di partenza nel cavo del suo abbraccio. Lei è il tuo posto, ma tu non sei il suo. [...]

La cucina è spenta, non preparo la cena, non apparecchio i piatti, niente vino. Siedo con il foglio del conto aperto e aspetto. Lei ritorna, saluta, vede e si mette a sedere. Quanto siamo rimasti zitti, poi che parole mandate allo sbaraglio nel campo dei centimetri che le nostre mani non potevano attraversare: ho scordato. Deve avermi detto di non fare così, ma io non so più di che materia fosse quel così, se bruciava o era spento. 

Ora che è vita andata, recito l’atto di dolore: mi pento e mi dolgo, mi dolgo e mi pento di averle presentato il conto. La presunzione di avere diritto mi gonfiava la vena della fronte. Avanzavo il mio rauco reclamo e più sacrosanto era, più era goffo: le chiedevo il conto, e mai si deve tra chi sta in amore. Non esiste il tradito, il traditore, il giusto e l’empio, esiste l’amore finché dura e la città finché non crolla. Poi esistono i bagagli e si ritorna profughi, senza la giustifica della maledizione di una guerra, senza una malasorte da spartire con altri. Di quel conto tutto era stato già pagato e il saldo era che bisognava alzarsi di sedia, di stanza e di città". 

E.D.

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