lunedì 14 gennaio 2013

Venuto al mondo, il film: brevissime impressioni

Il mio approccio al film non è stato, a dire la verità, tra i più asettici e seri che si potessero avere: non ho letto il libro e non mi piace la Mazzantini. Ma sono ugualmente convinto che la prima parte scorra in modo troppo confuso e banale: persino i contenuti poetici o e morali assumono le caratteristiche di una caricatura o di una semplificazione esagerata, e sono difficilmente apprezzabili. Sembrano buttati lì, alla rinfusa, senza una carica emozionale convincente. Alcune scene mi appaiono poco aderenti ad un disegno generale; altre troppo, diventando insignificanti.

La storia è quella del viaggio di Gemma e Pietro, apparentemente figlio di Gemma, in quella Bosnia che circa trent'anni prima aveva visto la protagonista innamorarsi del fotografo americano Diego. In mezzo al viaggio con Pietro e con l'amico Gojko (che aveva invitato Gemma a tornare col pretesto di una mostra dell'ex marito fotografo), viene ripercorsa tutta la sua storia dall'84 ai primi anni '90, con lo scoppio della vergognosa guerra di vocazione internazionalista tra Bosnia e Serbia, miseramente celata dalle sole questioni nazionalistiche. I contenuti della guerra, per tutta la durata del film - giustamente, visto che il focus della vicenda e della riflessione è ben altro - non emergeranno mai.

Per tutta la prima metà del film viene effettuata una ricognizione dei fatti che riguardano: l'incontro tra Gemma e Gojko; l'innamoramento con Diego (poco convincente, banale: un'amore per nulla intenso o poetico); il ritorno in Italia di Gemma che sposa un altro uomo, con la contrarietà evidente del padre (il quale, non si capisce come mai, simpatizza da subito in modo insolito con Diego, che  chiama continuamente a Roma per sentire la ragazza); la separazione di Gemma e l'inizio della vita di coppia (matrimonio?) con Diego che nel frattempo era arrivato a Roma con l'assistenza del padre di lei.

Ma il problema, adesso, è che lei, Gemma, non può avere un figlio, perché sterile al 97 percento; e assieme non potranno neanche adottarlo, visti i precedenti con la droga di Diego. Una convivenza sempre più difficile e poi il ritorno in Bosnia, dove nel frattempo è scoppiata la guerra. Lì l'idea di trovare una donna che prestasse il grembo per il figlio tanto voluto da entrambi i protagonisti, favorita da Gojko. Questa donna sarà Aska, una giovane musicista ribelle e libertina serbo-croata, della quale, dagli sguardi lanciati durante un concerto, si comprende che Diego si sia anche un po' invaghito. L'atto potrebbe essersi o consumato o meno: non si capisce. Ma un Diego visibilmente sconvolto torna con Gemma in Italia e comincia a mostrare insofferenze e turbamenti: cosicché, di li a poco, egli ripartirà per la Bosnia.
Mentre resta mal calibrato il viaggio di Pietro, con la pessima lite (dal punto di vista narrativo e cinematografico) con quella che era considerata sua madre, ecco che seconda metà del film si fa via via più interessante, fino ad arrivare al momento nel quale, al cinema comunale di Patti, cade un silenzio serioso, dovuto ai temi affrontati. Silenzio che si struttura dalle prime esplosioni dei bombardamenti su Sarajevo alle scosse emozionali (prevedibili) appena viene affrontato - con uno dei flash back finali - uno dei temi portanti del film e del libro: la violenza sessuale spinta perpetrata in guerra su una donna che a seguito rimarrà incinta. Quella donna è Aska, la quale si credava attendesse un figlio da Diego e che avesse fatto effettivamente da "cicogna" alla sterilità di Gemma. Solo verso la fine si scoprirà, tragicamente, che non è così.

Ed ecco che allora Pietro, il figlio acquistato da Gemma credendo che in lui scorresse lo stesso sangue di Diego, diventa piuttosto il figlio innocente di un'umanità da odiare, da disdegnare. La guerra, sullo sfondo, diventa metafora dell'emersione di tutti i mali che crescono nelle vene della società umana; nei fondali dell'umanità. La forza emozionale del contenuto, unito al disvelamento di un pezzo di storia fin lì rimasto ben nascosto, permette al film di essere finalmente apprezzato per l'intensità abilmente orchestrata dalle immagini. Restano tuttavia poco brillanti le parentesi metaforiche, le composizioni poetiche e le conclusioni morali della vicenda. Le "parole più importanti", ricercate negli ultimi dialoghi prima del ritorno in Italia di Gemma e Pietro, comunicano ben poco e sembrano l'ennesima forzatura. La stessa morte di Diego vista - sempre tramite flash back - solo cinque minuti prima, non è affatto struggente: forse perché collocata nel momento sbagliato del racconto; forse perché preparata, cinematograficamente, in modo insufficiente.
Tutto sommato un film apprezzabile perché affronta temi interessanti antropologicamente e perché, nella parte cruciale, con meno parole e più immagini, rende suggestiva la visione.
Non è un capolavoro, ma può piacere ad altri molto più di quanto sia piaciuto a me; e l'importante, d'altronde, è che non tutte le cose piacciano a tutti nello stesso modo, ma che emozioni diverse, ed in modo sempre diverso, possano venire a galla.

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