venerdì 12 marzo 2010

“Libertà è Partecipazione”

«Il fine giustifica i mezzi». Più volte, ultimamente, questa frase mi è stata ripetuta. In diverse situazioni, per diversi motivi. A un certo punto ho cominciato a chiedermi se davvero il fine giustifica i mezzi, se questo concetto sia “relativo” come un po’ tutte le belle frasi ad effetto di cui spesso ci si appropria o se in sostanza sia solo una coperta di linus, un modo per legittimare tutto, sempre.

Poi ho cominciato a chiedermi in virtù di quale fine sarei disposta a giustificare qualsiasi mezzo pur di ottenere quello che voglio. Sicuramente, non sono disposta a rinunciare a credere che le cose possano cambiare e che io, nel mio piccolo, possa dare anche un minimo segnale che ciò è possibile, che ci vuole solo tenacia.

Sembreranno due righe di stupidaggini buttate giù retoricamente. Belle parole che non significano niente.

Si. Possibile. Ma mi innervosisco quando mi si dice che bisogna adeguarsi al sistema, che quello in cui credo è datato, è inutile. Io credo nella gente, credo nella forza dei giovani. E, dato che io ho 24 anni non posso non credere in quello che scrivo.

Io credo nel diritto e nei diritti che ognuno di noi deve imparare a conoscere e far rispettare. Uno su tutti il diritto al libero arbitrio, alla libera scelta. Abbiamo il dovere verso noi stessi e verso le generazioni future di scegliere e di non adeguarci a un sistema marcio e decadente.

Credo nei giovani e nei più piccoli. Credo nell’educazione alla politica, alla libertà, alla legalità. Riappropriarsi del senso più alto di essa vuol dire cominciare a costruire qualcosa di nuovo, cominciare una metamorfosi che non può non partire dai giovani, dai “piccoli”.

La rivoluzione oggi è educazione, è partecipazione. Partecipare è tutto ciò che ci viene chiesto. Interessarci. Ascoltare. Capire. Anche la nostra Patti ha bisogno di una metamorfosi. E la gente ha bisogno di credere che sia possibile.

Alla fine di questo sfogo, mi viene in mente un’altra bella frase ad effetto, che non ha niente a che vedere con la machiavellica teoria di apertura, ma che si addice perfettamente all’aria che si respira da un paio di anni a questa parte nella nostra appassita città: «Se la gioventù le negherà il consenso, se i siciliani la considereranno nemica, anche l’onnipotente misteriosa mafia svanirà come un incubo (Paolo Borsellino) ».


Valentina Martino

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Come promesso, questo blog pubblica gli sfoghi e i pensieri dei giovani della nostra città. Non tutti, per carità: non perché non sia un blog democratico, ma perché alle volte i giovani non sono più giovani. Cominciano a ragionare come la società vuole che essi ragionino e si distinguono per sorrisi saccenti e furbi che ricordano molto uno stato di natura hobbesiano. Invece ci sono tante persone, compresa l'amica Valentina, che vivono una vita intera a chiedersi il perché delle cose e a non accettare il moto meccanico come dato assoluto e inspiegabile. Purtroppo per voi (alludo a tutti gli "anarcoborghesi" che abitano la nostra società "civile") c'è gente che - magari sbagliando - non accetta l'impossibilità assoluta di un cambiamento radicale. Non accettiamo, noi, che l'impossibilità di cambiare sia il dato di partenza: può essere, al massimo, il risultato della prova.

Ma non ci si prova mai davvero.

Lo sfogo che avete letto qualche riga più su credo sia dovuto ad una di quelle discussioni, anche molto animate, dove politicanti di turno (che si candidano a fare il bene della collettività), abdicano in partenza al loro compito, accettando un ruolo secondario che li incastrerà nel sistema che ha già fallito. Ruolo che non permetterà nessuna crescita stabile della società, ma forse solo l'appiglio a qualche potentato politico-economico al quale piegarci a novanta gradi in cambio di un pezzo di gloria: non meritata, ma guadagnata rubandola alla naturalità del sistema sociale. Il fine non giustifica i mezzi: è una fesseria. Non è da stato di diritto. Ma d'altronde in un paese dove la regola è facilmente aggirabile e anzi, sono le istituzioni a dare il cattivo esempio, non si può parlare di stato di diritto.

S.R.

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